“Giocatori d’azzardo”, il libro di Virman Cusenza: se l’antifascista salva il nemico sconfitto

“Giocatori d’azzardo”, il libro di Virman Cusenza: se l’antifascista salva il nemico sconfitto
di Mario Ajello
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Mercoledì 12 Gennaio 2022, 16:57 - Ultimo aggiornamento: 21:44

C'è un nuovo eroe civile che merita un film e che per ora è protagonista di un libro di storia, condotto con il metodo e la verve dell'inchiesta giornalistica, di Virman Cusenza, noto a tutti come ex direttore del Mattino e del Messaggero. Si chiama Enzo Paroli questo simbolo del coraggio e si tratta di un nuovo Perlasca che dal passato dell'Italia appena uscita dal fascismo riesce a proiettarsi come esempio, assai poco contagioso purtroppo, di virtù politica e di legalità profonda sull'Italia di oggi. Come da fascista convinto Perlasca salvò tanti ebrei dallo sterminio, così l'avvocato Paroli, da socialista anche incarcerato dal regime fascista, non ebbe paura di sfidare il conformismo e la rimozione («Siamo un Paese senza verità e senza memoria», diceva Leonardo Sciascia) per difendere, con successo, uno dei simboli più osceni del mussolinismo ormai caduto e negletto: quel Telesio Interlandi noto a tutti per aver diretto Il Tevere e la Difesa della razza e sostenuto tra tanti e più di tutti la campagna anti-ebraica dal 1938.


IL PERSONAGGIO
Con la figura di Paroli, avvocato brillante, donnaiolo, uomo di mondo e di principi che fece una scommessa e un azzardo in un Paese eternamente bigotto - mettersi dalla parte del perdente, capire la situazione dei vinti, vedere le sfaccettature del Male senza paraocchi ideologici e sottrarre Interlandi alla giustizia come vendetta - Cusenza nel suo Giocatori d'azzardo. Storia di Enzo Paroli, l'anti-fascista che salvò il giornalista di Mussolini (Mondadori) fa emergere un pezzo di storia sconosciuta che parla al presente e che, sperabilmente, può aiutare a costruire un futuro migliore dal punto di vista del rispetto liberale delle persone e dei loro diritti, anche quando il sentimento popolare e le convenienze politiche sono tutte a favore di condanne facili con gogna incorporata.

Chi più di Interlandi - sul quale il giudizio di Cusenza è fondatamente durissimo e basta leggere il contrappunto critico che l'autore fa ad ogni riga della lettera finora inedita che il giornalista «ventriloquo di Mussolini» indirizzò il 6 agosto del 43 a Badoglio per essere liberato dal carcere di Forte Boccea dove era rinchiuso per «collaborazionismo» con i nazisti - avrebbe meritato le pene più dure per quanto aveva fatto con parole armate di odio e di morte? Ma a salvare l'impresentabile razzista interviene, come virtù democratica ma anche come principio legale, un fattore umano imprescindibile e troppo spesso calpestato, ma che era chiaro già al Metastasio nel 700, e così da riassunto nell'esergo che Cusenza ha deciso di mettere nel proprio libro: «Senza pietà diventa crudeltà la giustizia... E la pietade senza giustizia è debolezza». Ovvero, Paroli per ragioni non meramente umanitarie ma fondate su un senso della legalità che non si nutre della furia dell'annientamento personale sottrae il suo assistito dalle sorti peggiori. Stabilisce con lui un rapporto che ha nell'anti-barbarie - quella barbarie che il giornalista del regime aveva applicato a mani basse - il suo ubi consistam e difende Interlandi fino al punto di nasconderlo insieme alla moglie e al figlio per otto mesi nella sua casa di Brescia. Per evitare che venisse riacciuffato o ucciso per la strada dagli anti-fascisti. Il capitolo intitolato La convivenza è proprio magistrale, e racconta in scene di vita domestica al riparo dalle possibili incursioni della polizia di come in nome di una giustizia giusta e della pietà che riconcilia i nemici della guerra civile si possono anche, per chi ha coraggio e buone motivazioni, infrangere le regole. Il rapporto tra l'antifascista che ha vinto ma sa che nulla si costruisce sull'odio e il fascista ormai derelitto ma non pentito spiega con forza come fuoriuscendo dagli schemi codificati si possa pacificare un Paese, per portarlo a un livello di civiltà pieno, per emanciparlo dai retaggi inquisitoriali e liberarlo dalla mentalità reazionaria che attanaglia ancora la nostra patria.
Tramite un'infinità di documenti, scoperte, spigolature, spunti di riflessione, squarci narrativi e belle foto (occhio a quella del federale bresciano Giovanni Comini che il Duce mise a spiare D'Annunzio nel Vittoriale e riuscì a impedire la deportazione di membri socialisti e anti-fascisti della famiglia Paroli), Cusenza è riuscito così, come è compito degli storici veri, a scrivere un apologo sul presente, a raccontare una vicenda che parla ai vivi e che non è cristallizzata nel passato pur parlando, di giganti del nostro 900 e qui ci sono quasi tutti: dal Duce al Vate, da Matteotti a Badoglio, da De Gasperi a Togliatti e così via.

OSTINATO
Le pagine di Giocatori d'azzardo finiscono anche per tratteggiare, senza che l'autore si metta in prima fila limitandosi invece a tirare con ferrea logica i fili di questa trama, l'identikit culturale di Cusenza.

Che è quello di un laico, di un liberale, di un progressista. In fondo di un uomo di testarda minoranza nel mainstream delle posizioni semplici. Proprio per questo Paoli è il personaggio, ostinato e contrario alla corrente, che a perfezione si addice a Cusenza. Stava per scrivere questa storia Leonardo Sciascia - impressionato dalla «fraternità umana» di Paroli e dal suo gesto «eroico» nei confronti dell'odioso Interlandi - ma la malattia non gliene diede il tempo. E proprio Sciascia condivideva in pieno la diagnosi di Mino Maccari sull'Italia dopo il Ventennio: «C'è il fascismo dei fascisti e il fascismo degli anti-fascisti». Paroli non ha voluto appartenere a questa seconda comfort zone. E a mandare avanti la storia, o a sperare di farlo, sono proprio gli eretici come lui.

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