Vittorio Potì, la ministra Lezzi e le parole come pietre

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Lunedì 29 Ottobre 2018, 23:40 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 18:21
Caro Direttore,
sono profondamente rattristato. Domenica sera ho ascoltato l’intervento della Ministra Lezzi. Pur non volendo entrare nel merito della querelle, devo registrare l’imbarazzo ed il profondo dispiacere che mi ha suscitato la frase “c’erano degli interessi che noi non conosciamo…che erano tutti di Vittorio Potì”. Nei medesimi istanti, sulla tv pubblica, Camilleri sottolineava che “le parole sono come le pietre” e, pertanto, vanno adeguatamente selezionate e calibrate. Prosit!
Quando lo scorso 25 maggio è stato pubblicamente tratteggiato il “premio Pancrazio Gennaro” - che a breve muoverà i primi passi - abbiamo immaginato che volendolo connotare come un riconoscimento agli esempi di comunità, una delle finalità dovesse essere il recupero e la valorizzazione delle migliori esperienze locali. E, dunque, anche la difesa delle stesse. Vittorio Potì ha rappresentato con autorevolezza una tradizione importante, interpretando da protagonista una stagione di vivacità progettuale nel solco del riformismo socialista. È stato, senza alcun dubbio, uno dei politici ed amministratori più intelligenti che il Salento e la Puglia abbiano potuto vantare. E non un “barone” del territorio, ma una personalità stimata ed apprezzata, legittimata dal consenso democratico, per numerosi lustri. C’è da riconoscere che, evidentemente, era un’altra epoca, in cui alla guida della cosa pubblica ci andava chi superava le rigide prove sul campo di una severa formazione e selezione della classe dirigente. Chi fa riferimento ad “interessi” dovrebbe, peraltro, specificare quali e suggerirne la tipologia e le evidenze, per chiarezza.
Tirare invece in causa, con allusioni senza fonti, dunque prive di fondamento, chi non può più difendersi perché scomparso (nel 2011) è una caduta di stile che dovremmo augurarci non si ripeta più. E ritengo che tutti i Socialisti di ieri e di oggi, i sinceri laici ed i riformisti, i libertari, il mondo del lavoro e dei diritti - che Vittorio Potì ha supportato e tutelato perché sincero interprete di quelle istanze - non possano restare indifferenti e debbano stringersi attorno al suo positivo ricordo. La salda memoria è un necessario presupposto per costruire un futuro di verità e giustizia.
Francesco Maria Gennaro
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Gentile lettore, condivido. Le parole sono come pietre, anzi le parole producono spesso molti più danni - materiali e morali - delle pietre. E i nostri tempi, in Italia e non solo in Italia, sono figli di una lunga semina, avvenuta nell’ultimo decennio attraverso la rete e i social, di parole avvelenate, di un linguaggio violento, aggressivo, teppistico, senza alcun rispetto e tolleranza nei confronti dei pensieri altri. Sul nostro territorio abbiamo vissuto prima e più che altrove questa pericolosissima deriva: su xylella, Ilva, Tap. Chi non si è accodato al “conformismo digitale” delle comunità autoreferenziali è stato bastonato a suon di insulti, denigrazioni, bugie, diffamazioni e anche minacce dagli squadristi da tastiera, allevati soprattutto dal M5s, comitati No Tap, comitati no Ilva e negazionisti della xylella. Noi di Quotidiano, che non abbiamo mai avuto timore di essere fuori del coro e di denunciare i cattivi maestri delle parole e del linguaggio, siamo stati - non a caso - tra i bersagli preferiti. Oggi, come lei ricorda, tocca a Vittorio Potì. Ma ieri è toccato al professore Ferdinando Boero, a ricercatori come Boscia e Martelli, a giornalisti con la schiena dritta e dalla indiscussa onestà intellettuale come Renato Moro, Francesco Gioffredi, Maria Claudia Minerva essere insultati, denigrati, diffamati solo perché svolgevano correttamente il proprio mestiere su xylella, Ilva e Tap. Spesso, purtroppo, con il silenzio assordante e complice della cosiddetta “società civile”. Ma il tempo è sempre galantuomo. Riconsegna alla storia la verità, mostra l’effimero successo dei profeti del falso, svela il fiato corto di chi inganna le piazze soffiando sul fuoco e strumentalizzando le proteste per ottenere facili consensi. Appare singolare che oggi proprio la senatrice Lezzi, in questi anni tra le più prolifiche leonesse da tastiera, minacci di andare in Procura con lo screenshot degli insulti ricevuti dopo il via libera del governo a Tap. È la cosiddetta “nemesi storica”, concetto forse troppo complicato per chi ne è oggi vittima. Non possiamo, tuttavia, consegnarci alla rassegnazione aspettando che arrivino da sole le repliche del “tempo galantuomo”. È invece necessario, oggi più che mai, lavorare per una grande opera di disinquinamento di quei gas tossici e nocivi iniettati, in questi anni attraverso la rete e i social, nella pancia e nella mente degli italiani e dei salentini con le parole avvelenate, le false notizie e le false verità.
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