Dalla politica solo delusioni
non andrò più a votare

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Mercoledì 9 Marzo 2016, 18:58 - Ultimo aggiornamento: 27 Marzo, 21:30
Gentile direttore, sono un brindisino molto deluso e, dopo l'ultima bufera giudiziaria che ha coinvolto il Comune con l'arresto del sindaco (il quarto caso in poco più di trent'anni), non andrò più a votare. É una rinuncia dolorosa per me, perché ho sempre creduto nella partecipazione e nell'impegno civile. Ma alla soglia dei 60 anni ho capito che continuare a votare, continuare a pensare che qualcosa cambierà è soltanto un'illusione che presto porterà a una nuova delusione. Facciano ciò che vogliono, continuino a saccheggiare la cosa pubblica, tanto prima o poi non ci sarà più niente da depredare.

Lu. B. (Brindisi)

Caro lettore, la sua sfiducia e la sua delusione - purtroppo - sono comuni a molti cittadini. La disaffezione verso la politica cresce ogni giorno di più, producendo un astensionismo che ha raggiunto livelli patologici. Siamo ormai in presenza, al centro come in periferia, di una “democrazia spopolata” o, per dirla con i politologi, di una “democrazia senza”: senza popolo, senza partiti e, in molti casi, senza più eletti ma solo nominati. Intendiamoci, la crisi della democrazia rappresentativa non è solo italiana: ovunque, in Occidente assistiamo da decenni al progressivo logoramento delle forme della politica come le abbiamo conosciute dalla Rivoluzione francese e come si sono evolute nell'800 e, soprattutto, nel '900. Non poteva essere che così perché anche le forme della politica, come tutte le forme umane, hanno un inizio e una fine. Il mondo ha vissuto una travolgente ondata di trasformazioni negli ultimi trenta-quarant'anni, da cui non potevano certo restare immuni la politica, l'organizzazione statuale e lo stesso funzionamento degli Stati nazionali. A tutto ciò, vanno aggiunte le cause più nostre, italiane e poi meridionali. L'elenco sarebbe qui lunghissimo e ci porterebbe lontani. Ma alla fine di qualsiasi riflessione e ragionamento su questo terreno, si arriva a un interrogativo secco: vale la pena ritirarsi ancora di più dal “discorso pubblico”, anche con il non voto, e lasciare a forme esasperate di leaderismo solitario la gestione della cosa pubblica, oppure è più giusto provare ad arginare la deriva - sempre più diffusa nelle élites come soluzione alla crisi della democrazia rappresentativa - di un restringimento degli spazi democratici, della partecipazione e del coinvolgimento del popolo a tutto vantaggio della decisionalità e della governabilità? È un interrogativo che nasconde un gigantesco problema di tenuta dell'idea stessa della democrazia nei prossimi anni. Perciò, la mia risposta, anche di fronte a un sindaco arrestato, anche di fronte a una partitocrazia senza partiti e a un ceto politico sempre più scadente è: arginare. Arginare questa deriva, evitare l'ulteriore restrizione degli spazi e dei luoghi di democrazia, anche se si tratta di una democrazia malata e malsana. Arginare comunque. Nell'attesa di un pensiero forte e lungo, come avvenne con l'illuminismo francese, capace di rifondare e rimotivare le forme della politica. Naturalmente nella democrazia e nella libertà.
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