York Prete, l'imprenditore balneare compie cento anni: «Così rinacque San Cataldo dopo gli orrori della guerra»

York Prete, l'imprenditore balneare compie cento anni: «Così rinacque San Cataldo dopo gli orrori della guerra»
di Alfredo PRETE
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Lunedì 6 Febbraio 2023, 09:19 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 16:13

Pubblichiamo l'intervista che Alfredo Prete, imprenditore balneare, ha fatto al padre York, che proprio oggi compie cent'anni: uno spaccato di vita che racconta anche gli anni difficili della guerra e la sfida per rilanciare San Cataldo.

Allora, papà York, siamo arrivati a 100 anni per la gioia di tutti noi: figli, parenti e amici. Forse è giunto il momento di raccontarmi qualche aneddoto della tua vita. Chissà quante ne avrai viste.
«Beh, caro figlio, diciamo che la mia vita è stata molto intensa. Purtroppo, come tu sai, ho perso la mamma che ero molto piccolo: una perdita che ha creato in me un vuoto incolmabile. Era una donna dolcissima meravigliosa».


Mentre nonno Alfredo...
«Era un uomo di quei tempi, aveva uno spiccato senso imprenditoriale, dedicava tutto il suo tempo alle varie attività intraprese: diciamo che non era semplice stare al suo fianco».


La tua infanzia come l'hai vissuta?
«Devo essere onesto, sono stato fortunato perché le attività del nonno andavano molto bene e consentivano a me ed ai miei fratelli Elvio, Rosetta, Mario e Walter, di poter vivere tranquilli».

 


I tuoi studi?
«Come molti leccesi dell'epoca ho frequentato il collegio argento poi non ho proseguito perché nonno Alfredo mi ha voluto al suo fianco nella conduzione delle attività di San Cataldo».


Poi arrivò la guerra.
«Ero destinato alla campagna in Russia, perciò morte certa, ma il fatto che fossimo una famiglia numerosa mi salvò dalla partenza per Mosca insieme ad una caffettiera...».


La guerra fece molti danni a San Cataldo?
«Sì, gli alleati distrussero tutto per riscaldarsi dal freddo inverno, demolirono tutto ciò che era di legno per accendere fuochi, rimasero solo le cabine e l'albergo Bellavista perché erano di cemento armato».


E partì la ricostruzione alla fine del conflitto.
«Sì, con il nonno ricostruimmo tutto ed all'angolo di via Achille Costa, la strada del Cesare Battisti, edificammo la stazione arrivi e partenze delle corriere per San Cataldo e gli uffici della ditta Prete.

Pensa fummo i primi a portare i leccesi al mare con una corriera a due piani come quelle inglesi».


Gli anni 60 sono stati gli anni del boom economico.
«Sono gli anni in cui il ristorante la Rotonda ha il suo massimo splendore. Per i leccesi mangiare sulla terrazza era un privilegio. A quell'epoca il servizio in sala era impeccabile: c'erano il maître, i camerieri ed i commis. Era un ristorante di pesce: la mattina alle 4.30, dopo aver chiuso alle 2, andavo a Porto Cesareo perché c'erano due barche che scaricavano il pesce solo per noi».


Il ristorante York ha visto tra i suoi ospiti fissi tanti personaggi famosi tra cui Tito Schipa che spesso si accompagnava con il campione mondiale di pugilato Primo Carnera. Ma vorrei che raccontassi a chi ci legge di uno dei tuoi camerieri: un nobile caduto in disgrazia, se non vado errato.
«Ah sì, il conte, un nobile decaduto, che per sopravvivere si era adattato a fare il cameriere. Ti posso assicurare che era il più bravo, con la sua gentilezza ed il savoir-faire era il più desiderato dai clienti. Non ti dico quante mance prendeva».


Papà, oltre a portare a mare i leccesi, hai sulla coscienza chissà quanti matrimoni tra persone che si sono conosciute nello stabilimento balneare.
«Sono nati tanti amori sulla spiaggia. Devi sapere che gli incontri clandestini avvenivano nel passaggio sotto la terrazza del ristorante che conduceva dalle cabine di destra a quelle di sinistra, anche Bruno Petrachi nella canzone San Catautu diceva ci gioca tamburelli culla bionda ci se ba truscia sutta alla rotonda».


Nel 1967 muore nonno Alfredo.
«Purtroppo negli ultimi anni della sua vita a causa di alcune operazioni finanziarie sbagliate aveva dilapidato tutto il patrimonio. Rischiavamo di perdere anche San Cataldo. A quel punto mi son rimboccato le maniche ed ho fatto di tutto per salvare le attività balneari. Nessuno credeva al mio progetto, rimasi completamente solo e con un bel po' di debiti da onorare. Furono anni difficili, per fortuna ci fu una persona che credette in me, il dottor Giordano, all'epoca direttore della Banca del Salento. Gli dissi le mie intenzioni, mi rispose: Signor Prete, scenda giù allo sportello, da questo momento è aperto un conto corrente a suo nome. Fu la mia salvezza. Certo per realizzare il nuovo progetto dovetti demolire lo stabilimento del nonno e costruirne uno più piccolo, ma alla fine riuscii nel mio intento».


Papà, ma la politica non è entrata mai nei tuoi interessi?
«Come ben sai, al contrario tuo (e ride di gusto) a me è piaciuto sempre stare dietro le quinte, ho fatto politica attiva nel partito liberale con don Ciccio Corvaglia. Abbiamo fatto tante battaglie insieme, eravamo ad un passo dal parlamento, doveva diventare onorevole poi purtroppo Ennio, il professore Ennio Bonea, optó per uno dei rami del parlamento e Ciccio rimase a Lecce. In una delle tante campagne elettorali ho rischiato anche la vita. Eravamo io e Ciccio con la mia Bianchina ed abbiamo fatto un brutto incidente, mi hanno ingessato dalla testa ai piedi ma alla fine sono qui a raccontartelo».

Ritorniamo a San Cataldo, al club Adriatico.
«Che ricordi, era un circolo danzante, insomma una discoteca, si entrava da un garage sotto agli appartamentini a San Cataldo: suonavano i Blow up, i Forum, che divertimento».


Eri un bravo ballerino ma anche un grande rubacuori: nelle tue foto giovanili sembri un attore hollywoodiano.
«Diciamo che fino a quando non mi sono sposato mi son divertito moltissimo».


Sì, ma negli anni di fidanzamento con la mamma non sei stato uno stinco di santo, per come lei racconta...
«Sai lei non poteva uscire, era un amore per così dire platonico».


Sì ma tu passavi con avvenenti signorine sotto il suo balcone, vabbè lasciamo stare. Torniamo seri, quanto è stata importante Lauretta per te?
«Ti dico solo una cosa: mi ha dedicato tutta la sua vita, anche adesso, a 93 anni, è qui al mio fianco tenendomi la mano».


Ma c'è una cosa che non ti è andata bene nel tuo rapporto con la mamma? Sono solo 67 anni che siete sposati.
«Solo una cosa, tu sai che la mamma usa molto i diminutivi nel chiamare le persone. Ecco, Yorkuccio non mi è mai andato molto a genio».


Papà ci siamo dimenticati qualcosa da raccontare?
«Figlio mio se dovessi raccontare cent'anni di vita, staremmo qui qualche giorno a chiacchierare. Ora voglio solo pensare a godermi Lauretta e le mie meravigliose nipotine Annalaura ed Esmeralda».


Ok papà, c'è un ultima cosa che non mi hai detto e che invece vorresti dirmi?
«Sì, una cosa che ti ho detto pochissime volte ma che ti è servita a farti crescere: bravo, figlio mio».
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