Strade deserte e abbandono, viaggio nella marina dimenticata

Una spiaggia libera a San Cataldo
Una spiaggia libera a San Cataldo
di Paola ANCORA
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Domenica 21 Febbraio 2016, 07:35 - Ultimo aggiornamento: 07:38
Oltre la città, il nulla. E, più in là, il mare Adriatico. Strade deserte, aiuole incolte, saracinesche abbassate. A San Cataldo persino le strisce di vernice a delimitare i parcheggi sono sbiadite. Come sbiadito è il presente di questa Cenerentola moderna, divorata dal cemento, corrosa dal salmastro, dimenticata. Del resto – verrebbe da dire – Lecce è città d’arte. È il barocco, la cultura, gli eventi. Il mare non c’è, non è previsto. Non bagna la città, come pure qualche turista pensava una manciata di anni fa, visitando questa perla del Sud. Il mare, che altrove significa sviluppo, lavoro e benessere, qui è contorno, periferia. Urbana, del pensiero, degli investimenti.
Andateci, come abbiamo fatto e continueremo a fare nei prossimi giorni per raccontarvi quello che è San Cataldo, la marina dei leccesi, e quello che potrebbe diventare.

 
A partire dalla strada provinciale 298, quella del Fondone tanto amata dai ciclisti. Una lingua d’asfalto che incrocia due diversi percorsi cicloturistici in mezzo alla campagna e alle paludi, fino all’oasi Wwf delle Cesine, ma che non ha piste ciclabili – né è previsto ne abbia in futuro - e affida l’incolumità di chi la percorre in bicicletta al destino e alla prudenza degli automobilisti. Masserie, agriturismi, l’aeroporto Lepore e poi, dopo la curva, San Cataldo, in agro di Vernole. Ingannare l’attesa al semaforo è facile, contando bottiglie, lattine e spazzatura raccolta nelle aiuole. Ancora pochi metri nella pineta che fra un mese accoglierà famiglie e comitive per il pic-nic di Pasquetta, e poi la marina.
Lungo la strada, sei randagi occupano metà corsia: non si scostano, né si spaventano per l’auto. Trotterellano fino alla spiaggia per mangiare dai rifiuti sparsi un po’ ovunque. A due passi, le risate e le chiacchiere di una coppietta presidiano il depuratore di Ciccio Prete. Lungo i fianchi di questa struttura tanto discussa – e che ancora non si è stati capaci di ammodernare – il mare ha vomitato chili e chili di plastica che nessuno raccoglie e che al mare torneranno, alla prima tempesta, insieme ai buoni propositi delle amministrazioni di Vernole e di Lecce che negli anni si sono succedute e alla “timidezza” delle associazioni ambientaliste. Più avanti, lungo la litoranea, è il silenzio dei lidi a farla da padrone. Il sole suggerisce altre mete, altri luoghi ai salentini (e ai turisti) in questi incerti week end di febbraio. E non è difficile capire perché.
Prima dei negozi, dei bar e delle attività aperte, a San Cataldo manca la cura. È orfana dell’occhio attento di un “padrone di casa”, che rassetta ogni stanza, sempre, nell’eventualità arrivino “ospiti” a sorpresa. Così, l’erba cresce alta ovunque. Alcune delle palme che incorniciano il lungomare sono state espiantate e le “cicatrici”, i fossi scavati da tronchi e radici sono stati coperti alla buona, utilizzando vecchi cartelli stradali e pietre di campagna. Le voci dei bambini della scuola vela si mescolano al profumo del mare, a dire che anche qui è possibile fare, progettare, costruire. Se soltanto lo si volesse. La scuola si trova all’interno del lido Salapia, dedicato ai disabili e gestito dalla cooperativa dei dipendenti comunali prima che un’inchiesta della magistratura svelasse presunti abusi edilizi e lo mettesse sotto sequestro, condannandolo al degrado e all’abbandono per qualche anno.
Più avanti, il faro torreggia su un cimitero di alberi. Impossibile capire di quale specie, sventrati e capitozzati come sono. Scheletri i cui resti verdi, ormai secchi, sono stati lasciati nelle aiuole, a diventare tane per i topi, insolita sottolineatura di quella che è, da ogni punto di vista, un’offesa alla cultura, alla storia, all’arte: il molo di Adriano. Edificato dall’imperatore romano nel II secolo d.C., non è meta delle migliaia di turisti che affollano il capoluogo dodici mesi all’anno. E forse è meglio così: grate di ferro separano il molo dal lungomare. “Macchine in movimento”, “Lavori in corso” recitano i cartelli affissi alle recinzioni. Messaggi che nel deserto dove campeggiano hanno il sapore dello sberleffo. Questa antica tappa obbligata per chiunque percorresse le rotte di Levante subisce oggi l’onta della dimenticanza, confinata in un cassetto sempre chiuso della memoria di chi dovrebbe trovare i fondi per restaurarla, metterla in sicurezza e consentire a tutti di ammirarla, portando a San Cataldo un po’ di quel turismo che sta facendo la fortuna di Lecce.
Certo, qui di fronte al mare, per i viaggiatori, non ci sarebbe la possibilità di dormire, né di sorseggiare un aperitivo e ammirare il tramonto, che è bello d’estate come d’inverno. Non esistono hotel né bed and breakfast a San Cataldo. E l’Ostello del Sole - “aperto tutto l’anno”, avvisa un cartello all’ingresso – è chiuso da un catenaccio arrugginito. Accanto, il rudere che, nei progetti dell’imprenditore Maurizio Guagnano, sarebbe dovuto diventare un resort con centro benessere. Anche questo inghiottito nel nulla.
Agli angoli, nonostante i nuovi bidoni per la raccolta differenziata “porta a porta” dei rifiuti distribuiti dalla Monteco, ci sono ancora vecchi e semi-distrutti cassonetti delle ditte Axa ed Ecotecnica, che non gestiscono più il servizio da un anno. E poi un letto di alghe secche lungo la linea di costa e cartelli ironici che nessuno legge sono l’epitaffio dello sviluppo di questo luogo, animato da pochi pescatori che ancora armeggiano con le reti nel gorgo di alghe e puzza di uova marce che è la darsena di San Cataldo. E verso l’interno, altri cartelli, quelli di “Vendesi”, raccontano il declino della marina: decine di appartamenti sono sul mercato. Villette e appartamenti che si affacciano su piazzette più simili a giungle, dove il verde incolto e le erbe infestanti hanno divorato ciò che c’era, forse.
San Cataldo è la desolazione e lo scoramento che stringono lo stomaco mentre si torna verso la città. La strada è ridotta a due corsie per circa la metà del percorso: le ruspe parcheggiate sul ciglio, in direzione della marina, dicono dei lavori in corso per portare la rete fognaria dove non ancora c’è. Il futuro, invece, è ancora fermo alle porte di Lecce.
 
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