Volley, dal miracolo di don Tonino Bello al ritorno in Puglia dello zar Zaytsev

Don Tonino Bello a Roma
Don Tonino Bello a Roma
di Vincenzo MARUCCIO
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Mercoledì 8 Gennaio 2020, 18:50 - Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio, 16:18

Una notte con i campioni per ritrovare il tempo perduto. Ugento capitale del volley pugliese, miracolo sportivo celebrato dalla tv nazionale. Nel tacco d’Italia torna Modena per un test match con i “cugini” del Casarano e il nastro si riavvolge: il Sud Salento che sfida i giganti del nord senza temere nessuno. Indietro nel tempo, ma senza nostalgia. Quando ad allenare era un prete di nome Tonino. Don Tonino Bello. Con orgoglio semmai: per quello che è stato, per quello che un giorno potrebbe di nuovo essere. Il principio è sempre un big bang, un’implosione misteriosa, un dio del volley venuto da chissà dove. O, più semplicemente, un campetto con i mattoni in cemento dove la storia comincia.
 

 

Ugento, anni Settanta. Da un lato, la cattedrale vescovile che guarda i campi da pomodori verso la piana dove un giorno passerà la statale 274 fino a Leuca. Dall’altro, la collina che declina dolcemente verso il mare tra vigneti e ulivi. Il resto è poco altro: i tedeschi al Robinson Club ancora di là da venire,mafia una parola allora sconosciuta, dei cocktail in spiaggia al Coco Loco neanche a parlarne. Ruota tutto attorno all’oratorio “Don Giovanni Bosco”: è lì che si alza a rete un pallone, si schiaccia e si mura. A tutte le ore. Neanche fosse l’Emilia o la Polonia. I ragazzi sfidano il freddo e il caldo africano. Il calcio nel resto del Salento, qui la pallavolo. È il 1973: un gruppo di seminaristi forma una squadra e partecipa ai Giochi della Gioventù nazionali a Roma. Non ci crede nessuno, ma arrivano quarti alle finali: un successo. Li allena un prete di un paese vicino: è lui ad accompagnarli fino all’Olimpico dove si fa fotografare insieme ai ragazzi e al campione di pugilato Nino Benvenuti.

La domenica prima tutti in chiesa, solo dopo alla partita. Parole nette quando serve, un sorriso quando c’è da incoraggiare. Il suo nome è don Tonino. Don Tonino Bello. Campione di pace e poi vescovo con il Vangelo del cuore. Un papa di nome Francesco, quasi 50 anni dopo, verrà a pregare sulla sua tomba ad Alessano. Un miracolo non può che cominciare così. Nell’autunno successivo la squadra si iscrive al campionato di Seconda Divisione e nascono i Falchi di Ugento. Sede sociale: la parrocchia. Primo sponsor: Adovos, l’associazione donatori di sangue. Don Tonino passa il testimone,ma resta il primo tifoso: quando i giudici puniscono i Falchi per qualche intemperanza della tifoseria e al loro posto viene promossa l’Assi Lecce, don Tonino scrive una lettera di protesta alla Federazione. Niente peli sulla lingua. Il Sud Salento che ribolle contro il capoluogo, il parroco che si fa portavoce di un territorio. Serve solo pazienza.

Qualche anno per capire come vanno le cose e la scalata è dietro l’angolo: quattro promozioni consecutive fino alla serie A/2, battuto un record dietro l’altro. Il campetto dell’oratorio – quello con i segnapunti manuali come nei film in bianco e nero – pieno ad ogni gara e la gente sui tetti delle abitazioni per guardare la partita. Quando il campetto non basta più e per un vero palazzetto bisogna aspettare i finanziamenti, la soluzione è la Cantina Cooperativa Ozan, sulla strada per il mare. Di là ilmosto e l’olio, di qua la pallavolo. In un grande magazzino viene allestito il parquet di gioco. Pieno anche quello, bottiglie di spumante ad ogni promozione. Arrivano gli stranieri anche. Argentini, americani, il bulgaro Todorov “colpo” di mercato del ds Sandro Zecca. E un nazionale polacco da poco campione del mondo: Zarzycki che a Ugento chiamano Zuzù. Il sogno è a portata dimano, i Falchi cambiano il nome con lo sponsor Victor Village e da Squinzano arriva un ragazzino destinato a entrare nella storia della pallavolo italiana: 17enne, piccolino, ma già con l’oro nelle mani quando c’è da alzare la palla per una schiacciata contro il muro avversario.

Ferdinando De Giorgi, per tutti Fefè: orgoglio del Salento, maestro e modello per le generazioni successive. Il cerchio si chiude e nel 1983 arriva la promozione in A1 bissata, poi, a due anni di distanza senzamai subire una sconfitta. La Cantina Ozan “inferno” del tifo, ma trasformata in un paradiso per chi ci crede. Finalmente nell’Olimpo del volley italiano, la prima volta di una pugliese. Due anni prima che il Lecce conquisti la serie A con il calcio: un primato che ancora inorgoglisce per chi è abituato, nel Sud Salento, a guardare tutto da lontano. Nellamassima serie è sempre Davide contro Golia in un palazzetto dello sport che fa regolarmente il tutto esaurito. Vittorie che si alternano a sconfitte, come è naturale che sia. Inutile elencarle: per chi ama le statistiche ci sono wikipedia, gli annali societari, i tabellini. Per i “cuori forti” c’è la cronaca che si fa storia. La regular season di metà Ottanta terminata al 6° posto, gara -3 ai quarti dei play off scudetto e, soprattutto la vittoria del 26 aprile 1986 che resta scolpita per sempre: 3-1 al Tensostatico di Ugento contro la pluridecorata PaniniModena.

Dall’altro lato del campo Andrea “Lucky” Lucchetta, Lorenzo Bernardi e Luca Cantagalli (assistant coach della squadra che domani affronterà la Leo Shoes Casarano) e in panchina Julio Velasco che qualche anno dopo avrebbe guidato gli Azzurri sul tetto del mondo.
Di qua i giallorossi del Victor con l’ultimo set vinto per 15-1. Molto più di un trionfo. Un tripudio. La vetta assoluta toccata in campionato prima della successiva discesa tra difficoltà societarie e la difficile, altalenante risalita tra Prima Divisione e serie C dei “nuovi” Falchi. Una notte stampata indelebile per non dimenticare mai. Senza nostalgie passatiste, ma solo per ricordare come si fa. E, soprattutto, che si può fare. Che si chiami Ugento o che abbia il nome di un’altra squadra di queste parti. Sicuramente non domani contro lo “zar” Zaytsev: troppo forte per sperare nell’impresa. Neanche dopodomani.Ma più in là, forse sì.Magari in un futuro neanche troppo lontano. Per non “morire” di Xylella, per non accontentarsi di qualche ombrellone in più d’estate, per non fermarsi al calzaturiero di lusso che pure è tornato in cima alle classifiche. I talenti non mancano, serve tutto il resto: merito, organizzazione, tenacia, capacità di visione, forse una nuova generazione.Ma a Finibusterrae, si sa, i miracoli accadono quando meno te l’aspetti. Lassù c’è qualcuno che ci ama.

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