Vino adulterato venduto per biologico o Doc, blitz dei Nas: 11 arresti, trenta indagati. Sigilli a sei aziende vitivinicole - Così l'ispettore avvisava gli imprenditori dei controlli

Vino adulterato venduto per biologico o Doc, blitz dei Nas: 11 arresti, trenta indagati. Sigilli a sei aziende vitivinicole - Così l'ispettore avvisava gli imprenditori dei controlli
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 11 Luglio 2019, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 12 Luglio, 13:59

Saccarosio di barbabietola e di canna sciolto in acqua per simulare la presenza di zuccheri dell'uva. Il tutto aggiunto ad una base di vino per guadagnarsi attestazioni di qualità e garanzia sull'origine del prodotto, con marchi d'eccellenza come Doc, Dop, Igp, Igt, finanche biologico e pure Aceto balsamico di Modena. Con l'uso, ha certificato un esperto nominato dagli inquirenti, anche di solfato di rame per uso agricolo, dannoso per la salute.
Vino creato dal nulla o con volumi raddoppiati grazie all'aggiunta degli zuccheri. Vino comune fatto arrivare dalla Spagna, o di provenienza ignota, e spacciato per salentino. Una sofisticazione su grande scala, quella contestata dall'inchiesta Ghost Wine, ossia Vino fantasma, della Procura di Lecce, dei carabinieri del Nas e dell'Ispettorato centrale repressione frodi (Icqrf) del ministero delle Politiche agricole. Lo dicono i numeri del blitz di ieri mattina: undici persone arrestate, sei in carcere e cinque ai domiciliari. Quarantuno gli indagati, fra imprenditori del settore vinicolo, fornitori di zucchero, titolari di aziende che avrebbero garantito la documentazione ritenuta falsa per il trasporto del prodotto e finanche un funzionario dell'Icqrf, Antonio Barletta, 56 anni, di Lecce (carcere per lui). Quattro le aziende sottoposte a sequestro preventivo, con sigilli a sei stabilimenti. Sigilli a circa 30 milioni di litri di vino ritenuto sofisticato e che avrebbe reso 40-45 milioni di euro. E 60mila euro in contanti trovati nelle case di una delle aziende durante le perquisizioni .
Vino fantasma. Nessuna traccia di uve fresche, come prevede il quadro normativo di riferimento, quanto piuttosto - questa la tesi dell'inchiesta del pubblico ministero Donatina Buffelli, avallata dall'ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari Michele Toriello - processi chimici per abbattere i costi di produzione. Con una ricaduta sulla credibilità del prodotto made in Salento, dei suoi vigneti e del settore vinicolo? «La gran parte dei produttori segue le regole e si fa carico dei relativi costi. Cosa che non facevano gli indagati, a nostro parere», il chiarimento del generale Adelmo Lusi, comandante dei carabinieri del gruppo Tutela salute, nel corso della conferenza stampa di ieri mattina cui hanno partecipato il colonnello Giampaolo Zanchi (comandante provinciale di Lecce), il tenente colonnello Vincenzo Maresca (al comando del gruppo Tutela Salute di Napoli, nonché il direttore ed il funzionario dell'Icqrf, Oreste Gerini e Luca Veglia.
Tre i filoni individuati dall'inchiesta e facenti capo ad altrettanti sodalizi a cui è stata contestata l'accusa di associazione a delinquere finalizzata all'adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari, alla frode nell'esercizio del commercio, alla vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine ed altro ancora. Tre filoni fra loro collegati e scoperti grazie all'intreccio di più indagini: gli accertamenti avviati a gennaio dell'anno scorso in uno stabilimento vinicolo di Racale dove i carabinieri del Nas di Lecce trovarono alcuni sacchi vuoti da 1.200 chili ciascuno di zucchero. Come anche un termoriscaldatore per sciogliere lo zucchero ed il solfato di rame. In quel fascicolo è inoltre confluita una parte dell'inchiesta della Procura di Napoli ed in particolare sia le forniture di zucchero che le intercettazioni in un cui il funzionario dell'Icqrf avrebbe avuto contatti con gli stabilimenti che di lì a poco sarebbero stati controllati. Ed ancora: anche le Procure di Brindisi e Foggia hanno raccolto dati che, per competenza, sono stati poi trasmessi a Lecce.
Tre filoni ed altrettante accuse di associazione a delinquere. La prima, quella con il maggiore numero di indagati, 27, è quella a cui viene messo a capo Antonello Calò. Lo stabilimento vinicolo Agrisalento di Copertino e Megale Hellas di San Pietro Vernotico, con sede anche a Guagnano, gli opifici che sarebbero stati impiegati per la creazione del vino fantasma. La seconda organizzazione quella guidata da Antonio De Pirro ed Antonio De Iaco che avrebbe agito nei territori di Nardò, Alliste e Trinitapoli. La terza vede rispuntare Rocco Chetta, finto altre volte nei guai con la giustizia per sofisticazione e truffa con la Chevin. Ora di avere prodotto - fra l'altro nella Cib Industry di Lequile Aceto balsamico di Modena senza usare uva e dichiarando anche l'impiego di prodotti biologici.
 





 

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