I fondali? Si esplorano meglio con i robot

I fondali? Si esplorano meglio con i robot
di Maria Claudia MINERVA
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Giovedì 19 Gennaio 2017, 06:14 - Ultimo aggiornamento: 17:18
Uno dei grossi problemi dell’esplorazione degli ecosistemi marini è l’eventualità che le sonde inviate per i sopralluoghi o per prelevare campioni di materiale possano danneggiare le creature che vi abitano. Per provare a risolvere questo problema, gli scienziati hanno sviluppato robot marini che si immergono in profondità, senza mai perdere il controllo. Sono tanti, collaborano e lavorano senza sosta per mappare i fondali. Addio, quindi, agli esperti subacquei con muta, bombola e pinne, arrivano i robot degli abissi: un vero e proprio sistema di robot subacquei intelligenti, che sanno come muoversi sott’acqua e comunicano fra di loro migliorando notevolmente l’efficacia delle indagini geotecniche in mare.
Questo è quanto promette il progetto europeo “WiMUST”, www.wimust.eu , che è supportato nell’ambito di Horizon2020 e coinvolge Università, Enti di Ricerca e aziende da sei Paesi d’Europa (Portogallo, UK, Francia, Germania, Italia e Olanda). Coordinatore del progetto è il professor Giovanni Indiveri, docente di Robotica, Automatica e Sistemi di Controllo presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università del Salento.
«Il progetto è partito ufficialmente il 1 febbraio del 2015, coinvolgendo illustri colleghi italiani, portoghesi, francesi, tedeschi, inglesi e olandesi - spiega il professor Indiveri -. Dopo due anni di studi e prove in laboratorio e un primo esperimento in mare che si è svolto a fine 2016 a Sines in Portogallo, ci apprestiamo ad entrare nell’ultimo anno del progetto. Le tecniche fino ad ora utilizzate per l’esplorazione geotecnica e geofisica dei fondali, prevedono l’utilizzo di una nave che rimorchia una sorgente acustica, in grado di generare un suono che penetra la colonna d’acqua illuminando il fondale. Il segnale di ritorno è acquisito da gruppi di ricevitori (idrofoni) montati lungo cavi (streamers) a loro volta trainati in superficie dalla nave - aggiunge il coordinatore del progetto -. L’insieme degli streamer formano un’antenna acustica di geometria prestabilita».
 

Nell’ambito di “WiMUST” si sta progettando un sistema alternativo in cui ogni streamer sarà trainato da un robot subacqueo. «I robot potranno essere più vicini al fondale e ci si aspetta, di conseguenza, una migliore qualità del segnale - spiega, ancora, Indiveri -. Inoltre si punta a disaccoppiare la sorgente acustica dai ricevitori permettendo di cambiare la forma dell’antenna acustica ottimizzando quindi le caratteristiche dei rilevamenti. Questo comporta, ovviamente, interessanti problemi di ricerca quali, ad esempio, la sincronizzazione temporale tra sorgente e ricevitori e il coordinamento e controllo dei robot in navigazione».
La caratteristica fondamentale di “WiMUST” consiste nell’uso di una squadra di robot marini autonomi cooperativi, in grado di ottimizzare la qualità dei dati di rilevamento e variare la geometria della formazione durante l’esplorazione. Alcuni recenti sviluppi della tecnologia hanno evidenziato, infatti, la grande potenzialità dei gruppi di robot marini che agiscono in collaborazione: essi possono servire a migliorare enormemente i metodi disponibili per l’esplorazione dell’oceano.
La visione alla base di “WiMUST” è quella di sviluppare sistemi avanzati di controllo cooperativo, per consentire ad un gran numero di robot marini di interagire attraverso la condivisione di informazioni, come un vero e proprio team.
Oltre all’Isme, Centro Interuniversitario di Sistemi Integrati per l’Ambiente Marino, al quale afferiscono diverse Università Italiane, tra cui Unisalento, sono coinvolti: Ist Istituto Superiore Tecnico di Lisbona, Cintal Centro di Investigazione Tecnologica di Algrave in Portogallo; l’Università di Hertfordshire in Gran Bretagna, e poi le aziende EvoLogics, Graal tech, Cgg, Geo Marine Survey Sistems e Geosurveys.
Sviluppi futuri? Ulteriori attività sperimentali, condotte dai partners e utilizzando piattaforme robotiche già disponibili nel consorzio. La tecnologia sviluppata è stata e sarà sperimentata in acque profonde 20 metri, ma le metodologie che sono alla base del progetto diventeranno immediatamente applicabili anche alle acque molto più profonde. «Ci si auspica che gli sviluppi scientifici e le innovazioni tecnologiche del progetto “WiMUST” - concludono gli scienziati che lavorano al progetto - saranno eventualmente sfruttabili in domini subacquei aggiuntivi: quelli relative alle operazioni di ricerca e salvataggio, monitoraggio ambientale e le applicazioni di sorveglianza, sminamento, subacquea archeologia subacquea e della pesca».
 
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