Un giorno (d’inferno) al Pronto soccorso. «Le nostre forze al limite»

Un giorno (d’inferno) al Pronto soccorso. «Le nostre forze al limite»
di Andrea TAFURO
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Domenica 30 Gennaio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 14:19

Il suono delle sirene delle ambulanze in arrivo in ospedale si unisce a quello dei telefoni del 118 che squillano ripetutamente. La quiete, sospinta dalla tramontana, che si percepisce all’esterno del “Vito Fazzi” di Lecce, è solo apparente. Basta fare un passo all’interno per accorgersene. Nel pronto soccorso covid e nella centrale operativa del 118 non c’è tregua. Si corre. Si cerca una soluzione che purtroppo spesso non c’è nella più classica metafora della coperta corta. Tiri da una parte e si scopre l’altra. Solo che in questo caso si tratta di decidere chi soccorrere per prima perché più urgente e chi invece fare aspettare nella speranza che un mezzo si liberi presto. E nella speranza che quei minuti di attesa, preziosi minuti, non arrechino danno a chi aspetta. Bisogna scegliere bene. Ieri a mezzogiorno erano venti le persone che aspettavano un’ambulanza e 12 quelle che, anche da 36 ore, aspettavo un posto letto in ospedale.

L'aumento dei contagi


Omicron continua ad avanzare, l’aumento dei contagi non si arresta (ieri in Salento 2400 nuovi casi) e le richieste d’intervento si susseguono durante tutto l’arco della giornata. Intorno alle 12, l’orario di punta. I 36 mezzi di soccorso a disposizione dell’Asl, tra ambulanze e auto mediche, sono già tutte fuori per attività, ma i terminali continuano a squillare: oltre 20 le persone in attesa di soccorso.

Il sistema soffre, il personale è in affanno. Le soluzioni non sempre sono immediate. A volte si deve ricorrere anche all’intervento dei vigili del fuoco per dare supporto ai sanitari in difficoltà per completare un ricovero di soggetti fragili.


Pochi metri separano la centrale operativa del 118 dal pronto soccorso. I due presidi, in prima linea nelle emergenze urgenze, messi sotto pressione dalla quarta ondata covid, che toglie il fiato e complica anche le richieste di cura dei malati cronici e dei casi oncologici. Il passaggio obbligato per tutti è l’area del triage. Qui si svolge il tampone di verifica e lo smistamento dei pazienti. In base all’esito, se il test è negativo arriva l’ok per l’area pulita, da raggiungere attraverso un lungo corridoio sul lato destro. A metà strada una stanzetta di pochi metri destinata da alcuni giorni ai codici rossi. Più avanti, i casi bianchi, verdi e gialli.
Se invece l’esisto del tampone è positivo si svolta a sinistra, per la zona covid. Un cartello sulla porta serve a ricordare la distinzione e avvertire i più distratti. In pronto soccorso si continua a lavorare a ritmi elevati, medici e infermieri si danno il cambio sui pazienti in osservazione. A volte qualche incomprensione, la stanchezza sopraggiunge e si rischia l’errore.

I pazienti in attesa


Nel corridoio un’anziana sulla barella attende il suo turno e l’esito del tampone. «L’insufficienza di personale si riflette sull’attività quotidiana – osserva un medico -. Siamo in difficoltà da tempo, ma ora è tutto più evidente perché il covid ha messo a nudo le carenze del sistema sanitario. Purtroppo il virus corre anche in corsia e circa il 20% della forza lavoro è costretta in quarantena. In questa cornice – aggiunge - i reparti covid sono quasi saturi e i pazienti restano in pronto soccorso o in ambulanza ad attendere il loro turno».
Il numero dei ricoveri registrati ieri al “Fazzi”, infatti, non lasciano tempo per rifiatare: 137 i positivi nei reparti a fronte di 5 decessi. Area medica covid (medicina e pneumologia) sold out, mentre l’area critica ha ancora pochi posti disponibili nel reparto di rianimazione. Mentre in attesa di un posto letto, da 24/36 ore, ci sono ancora 12 pazienti. 
Qualche passo indietro e fuori dall’area off-limits per il covid, la tensione tra i sanitari diminuisce e i movimenti sono meno frenetici. Nell’area pulita del pronto soccorso alcuni anziani prendono posto sulle sedie, non sono in tanti, ma aspettano il loro turno in compagnia dei familiari e ogni barella che passa è guardata con sospetto. 
«Speriamo bene – sussurra un anziano – siamo qui per curarci ma il rischio contagio spaventa e non lascia esenti neppure gli ambienti ospedalieri». Contemporaneamente le ambulanze continuano ad entrare ed uscire dal presidio ospedaliero leccese. 
«Aspettiamo da ore - racconta una ragazza che ha accompagnato un familiare -. Ma con chi te la vuoi prendere? Medici e infermieri stanno scoppiando, corrono da una parte all’altra. Non te la puoi prendere con loro. Sono pochi e sono stanchi. La sensazione è che è tutto fuori controllo e non è una sensazione rassicurante».

Gli operatori


In sosta, davanti all’ingresso del pronto soccorso, ce ne sono ancora quattro. La prima ad avere l’opportunità di “sbarellare” il paziente è ferma da circa 2 ore. L’autista, avvolto nella tuta bianca da inizio turno, è esausto. «Lavoriamo senza sosta – racconta l’operatore –, la situazione a bordo delle ambulanze è difficilissima. Le richieste d’intervento ogni giorno sono numerose, ma le nostre forze sono al limite. La presa in carico e la consegna dei casi covid poi richiede una procedura particolare. In ospedale purtroppo i posti letto sono saturi e per questo all’esterno dei pronto soccorso si creano lunghe code che ci obbligano ad attese interminabili, che mettono a rischio anche la nostra salute. Ma non finisce qui – aggiunte l’autista - una volta consegnato il paziente, è il turno della sanificazione del mezzo. Se l’apparecchiatura del “Fazzi” è libera, occorrono ulteriori 20 minuti, altrimenti siamo costretti ad andare a Galatina, sprecando tempo ed energie che potrebbero essere utili sul territorio per altri interventi». 
Il tempo scorre e le richieste di soccorso si accavallano. Dalla centrale operativa del 118 arriva lo stop ai trasporti secondari. Le quattro ambulanze dedicate al servizio interno vengono indirizzate alle urgenze sul territorio. Intanto all’esterno è buio, si è fatta sera ma il circuito d’intervento non si ferma. La luce artificiale dell’illuminazione pubblica si riflette su quella delle sirene dei mezzi di soccorso, ancora una volta lanciati in interventi tra emergenze e pandemia.

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