L'associazione no profit era fittizia. Veri, invece, erano i soldi - si parla di sei milioni di euro - che era riuscita ad accaparrarsi convincendo migliaia di persone a investire. E c'è anche un salentino tra le cinque persone indagate, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata all'abusivismo finanziario, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio.
L'INCHIESTA
Le indagini, condotte dai militari del Primo gruppo del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Napoli, sono partite dalla segnalazione di alcune banche che avevano notato movimenti sospetti su alcuni conti. Si è così scoperta l'esistenza di un sodalizio criminale che, attraverso la costituzione di un'associazione no profit poi risultata fittizia, proponeva investimenti finanziari altamente remunerativi nel settore delle criptovalute e dell'oro. Ma lo faceva in assenza di qualunque titolo autorizzativo.
Il sistema, creato a Napoli ma operativo su tutto il territorio nazionale, poteva contare su una fitta rete di procacciatori che promuovevano gli investimenti tramite i social e i messaggi whatsapp. Stando alle indagini, sarebbero circa 2.200 su tutto il territorio nazionale - e quindi anche nel Salento - i risparmiatori convinti a investire in oro e criptovalute.
L'operazione - non a caso battezzata “Il gatto e la volpe” - ha permesso di accertare che l'associazione fasulla era riuscita a raccogliere più di sei milioni di euro, che arrivavano sui conti correnti italiani ed esteri sotto forma di apparenti donazioni. E tra i procacciatori di sempre nuovi donatori c'era appunto il salentino, un uomo di 37 anni del Nord Salento, colpito nelle scorse ore dalla misura cautelare dell'obbligo di dimora.
IL SISTEMA E I SOCIAL NETWORK
Il sistema per coinvolgere il maggior numero di investitori, infatti, era quello del passaparola, fatto anche attraverso i social network o i messaggi sul cellulare.
I PROFITTI
Dalla ricostruzione dei flussi finanziari è emerso che il capo dell'associazione ha tratto profitti illeciti per circa 679mila euro, cercando poi di evitare il sequestro dei propri beni attraverso un finto contratto preliminare di compravendita di un terreno per giustificare la perdita della caparra di 275mila euro, attribuita fittiziamente all'originario proprietario.
Nel complesso, nell'operazione, ai cinque indagati sono stati sequestrati beni per quasi un milione di euro. L'operazione ha riguardato Liguria, Campania e Puglia ed è stata effettuata con il supporto dei Reparti delle sedi di Bari, Lecce e Savona.