​Truffa con i contributi Covid e falsi braccianti: nove condanne

Truffa con i contributi Covid e falsi braccianti: nove condanne
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Sabato 15 Aprile 2023, 17:38 - Ultimo aggiornamento: 17:45

Nove condanne, tutte al femminile, a pene comprese tra quattro mesi e due anni. Si parla di un presunto giro di falsi braccianti, per ottenere contributi, anche e soprattutto in periodo di Covid. E nel caso specifico, un’azienda costituita appositamente per riuscire nell’intento. La vicenda, che coinvolge in tutto 49 persone, è finita dinanzi al giudice dell’udienza preliminare Giulia Proto. I fatti si sarebbero verificati tra Trepuzzi e Surbo in periodi tutto sommato recenti. Le persone coinvolte risultano residenti a Squinzano, ma anche a Lecce, Campi, San Pietro Vernotico e Lizzanello. Alcuni fra gli imputati hanno scelto di essere processati con rito abbreviato, altri invece hanno preferito patteggiare. Le posizioni di minor rilievo hanno optato per la messa alla prova che consente di giungere all’estinzione del reato compiendo lavori socialmente utili o attività di volontariato presso le associazioni.  L’inchiesta è stata coordinata dal pm Maria Consolata Moschettini.

La vicenda

L’accusa per tutti è di truffa aggravata ai danni dello Stato. In sostanza sarebbe stata fondata una società agricola che di fatto però non avrebbe mai operato. Sarebbe stato anche individuato, fittiziamente, un terreno. E sarebbero state fornite istruzioni su come comportarsi in caso di controlli. L’assunzione di braccianti avrebbe fruttato dall’Inps l’erogazione di contributi previdenziali, tanto per cominciare, ma anche di indennità varie. Malattia, maternità, benefici straordinari previsti nel periodo più duro per tutto, quello della pandemia e del lockdown. 
La truffa allo Stato ammonterebbe a circa 140mila euro.

Ovvero, la somma delle indennità di disoccupazione, maternità, malattia e delle indennità Covid che i finti  braccianti avrebbero percepito negli anni 2019 e 2020. Indennità ottenute indebitamente, perché erogate dall’Inps sulla base di un rapporto di lavoro subordinato in agricoltura che però era soltanto apparente. Le indagini hanno infatti messo in luce che proprio la 44enne, amministratore di fatto, avrebbe pagato il notaio per l’atto costitutivo della società e si sarebbe recata in banca col 49enne per aprire il conto della società. Il prestanome sarebbe stato peraltro istruito dalla donna sulle cose da dire agli organi ispettivi in caso di controlli e su un terreno abbandonato da indicare come oggetto di coltivazione da parte dell’impresa agricola.

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