Tap e l'obiettivo in dieci mesi. Viaggio nel cantiere “segreto” tra Prt, tubi, microtunnel e ulivi

Tap e l'obiettivo in dieci mesi. Viaggio nel cantiere “segreto” tra Prt, tubi, microtunnel e ulivi
di dall'inviato Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 14 Luglio 2019, 11:29 - Ultimo aggiornamento: 18:39

Il tempo e i tempi, tanto per cominciare: scandiscono la parabola del gasdotto Tap, prima ancora dei chilometri, degli ettari, dei tubi d'acciaio, dei conci di cemento, del filo spinato e dei 10 miliardi di metri cubi di gas annui. È un'afosa mattina di luglio, il cantiere Tap è un mosaico in parte "in sonno" e in altra parte scosso da sussulti: si srotola tra la costa di San Foca e le campagne di Melendugno, mare e terra, dribblando ulivi, "pagghiare", habitat tutelati, schivando proteste e presìdi all'apparenza ormai fiaccati dai mesi e dall'incedere dei lavori, divorando il tempo e rincorrendo i tempi (progettuali).

Il cantiere è blindato, in ogni porzione e cluster è abbracciato da una cinta di cemento e filo spinato alta 3,5 metri, controllato a vista dagli agenti dell'Alma Roma. Non appena gli scarponi antinfortunistica (il protocollo è ovviamente rigido anche per gli ospiti) affondano i primi passi nella fanghiglia, il tempo è già metro e bilancia di ogni cosa: siamo nei pressi di masseria del Capitano, meno di tre chilometri dal centro abitato di Melendugno, una spianata di 12 ettari dove sta sorgendo a ritmi sostenuti il Prt, cioè il terminale di ricezione del gas.
Si lavora senza sosta, accompagnati dal monocorde frinire delle cicale e da una canicola a tratti ottundente. La fisica spiega che il tempo scorre più veloce in montagna e più lento in pianura: qui invece sembra avere una dilatazione autonoma. È, insomma, il tempo sopraffatto dai tempi: i cinque blocchi del Prt dovranno essere ultimati per il primo semestre del prossimo anno, così come la posa del tubo interrato di 8 chilometri, l'allaccio al microtunnel e l'exit point a mare. Lo impongono l'autorizzazione unica e i contratti con gli acquirenti del gas pescato dal bacino Shah Deniz, in Azerbaijan.
 

 


Nel tour ci accompagnano Luigi Quaranta, capo ufficio stampa, e Francesco Spinelli, responsabile sicurezza sul lavoro di Tap. Spiegano: «Siamo in linea con il programma, nessun rallentamento». E via con le cifre: 2,7 milioni di ore lavorate dall'apertura del cantiere italiano, 845mila quest'anno. Il corpo a corpo col tempo s'intreccia con l'altro puntiglio che aleggia sul cantiere, tra i tecnici e i manager Tap: ripetono che l'opera non deturpa, non è invasiva, non è pericolosa, è all'avanguardia sotto il profilo ingegneristico, e gli operai sembrano quasi volersi muovere in punta di piedi, ovattati dalle barriere e dal dispositivo di sicurezza. Due cartoline preliminari: al cluster 5, località le Paesane, il tubo da 90 centimetri di diametro è stato interrato, il suolo di campagna già ripristinato e presto torneranno a dimora 401 ulivi.

La seconda: il microtunnel - cioè la camicia in cemento larga 3 metri che dal mare penetra sotto costa e che ospiterà la prima frazione del tubo italiano - si snoda invisibile a San Basilio per 1.540 metri e s'affaccia a 620 metri dalla costa, occhieggiando dal pozzo di spinta. Anche quest'ultimo verrà chiuso e coperto: ci sono altri 227 ulivi pronti a tornare a casa. «Tutto verrà ripristinato, tutto», assicurano. Non basterà tuttavia a smorzare la crociata di chi (Comune di Melendugno in testa) bolla l'opera come un'intrusione, un'aggressione. Il fronte NoTap non molla la presa, almeno tra dossier, esposti, inchieste.
E il gasdotto finisce per essere inevitabilmente un vessillo, lo specchio dei tempi (appunto), l'emblema dei vuoti pneumatici della politica e delle istituzioni che non hanno mai approcciato di petto il tema per anni, contribuendo così a divaricare una distanza incolmabile tra Tap e fronte del no, acuendo gli spigoli anziché avvicinarli.

L'ingresso sud al cantiere del Prt è dalla provinciale Melendugno-Calimera, la strada d'accesso è stata aperta da Tap e - anche qui - assicurano che tutto tornerà com'era. Sulla destra c'è masseria del Capitano, alle spalle si stendono i canopy: lì riposano 1.118 ulivi, espiantati, curati, incappucciati e presto destinati alla loro particella d'origine. L'appaltatore che si occupa del Prt è Renco: 3.500 metri quadrati, è questa l'area palesemente più sensibile in termini d'impatto, quantomeno paesaggistico.
Sono cinque i blocchi in corso di realizzazione: il cuore elettrico; la boiler house per l'equilibratura della pressione; il gas analyzer per testare la qualità del metano; un edificio a staffa per sala controllo, uffici e amministrazione; e infine l'area di processo, 600 metri quadrati di tubature, misuratori, filtri e scambiatori di calore per monitorare il gas e portarlo alla pressione più vicina a quella richiesta da Snam; a ciò da aggiungere un serbatoio d'acqua. Il tubo di 8 chilometri si snoderà dal mare fin qui, all'area di processo, e sempre qui poi s'innesterà la dorsale Snam, per 55 chilometri fino a Brindisi.

Il Prt è imponente, si staglia. E allora la mitigazione paesaggistica? «Le recinzioni con filo spinato verranno eliminate, ma saranno comunque previste delle protezioni. C'è un progetto per l'armonizzazione del Prt, verrà per esempio schermato con delle piante». Nei 12 ettari si erge una "pagghiara": messa in sicurezza, protetta, torreggerà al centro degli uffici a staffa di cavallo. Una convivenza eloquente, gli opposti che si scrutano. «Il terminale - ribadiscono da Tap - non è una centrale che produce emissioni nocive, ma solo un luogo di passaggio del gas. Né viene effettuata alcuna operazione di trasformazione industriale». Nella fascia sud del Prt sorgeranno due ciminiere a freddo di 10 metri. «Le emissioni rilasciate al Prt possono essere ritenute equivalenti a quelle di 96 famiglie, su base annua, pari a non più del 2% del tempo totale di funzionamento del Prt, cioè circa 160 ore». Sul Prt si sono giocate, o si giocano ancora, battaglie giudiziarie: il perito del gip di Lecce ha escluso l'applicazione della normativa Seveso, al vaglio dei magistrati resta l'ipotesi di una Via unica per Tap e Snam.

Ci lasciamo il Prt alle spalle per affrontare un pezzo degli 8 chilometri di tubo: sulla sinistra si scorge la strada d'accesso nord dalla via vecchia Vernole. A ridosso del terminale il tubo è già nelle viscere, ci passeggiamo su senza saperlo. In tutto sono stati interrati 4 degli 8 chilometri, suddivisi in 10 cluster - l'appaltatore in questo caso è la Max Streicher: come sul pannello del "Risiko", si conquista un brano alla volta in un dedalo di vincoli, prescrizioni ministeriali, cautele. Al cluster 9 i lavori sono in corso, il tubo d'acciaio ha un diametro di 90 centimetri e ogni pezzo è lungo 12 metri: viene calato dalla macchina sideboom (una specie di gru) nello scavo di 3 metri, saldato e testato ai raggi x, poi interrato con 1,5 metri di copertura. La pista del cluster è larga 18 metri, ai lati - oltre i muri spinati - corre placida e ignara la campagna, tra ulivi e "pagghiare": quando cadranno le barriere, non dovrebbe apprezzarsi stacco o differenza, stando ai piani. In alcuni tratti è invece necessario trivellare e incamiciare il tubo in un "fratello maggiore", per non scavare: accade poco oltre, obbligo dettato dalla presenza di una lecceta di 80 metri. 
San Basilio è la porta a mare del gasdotto transnazionale. Raggiungiamo il segmento di cantiere in auto, attraversando campagne spesso incolte, abbandonate, e qui e lì si intravedono altri cluster: il già citato cluster 5, che era stato sequestrato dalla magistratura nel filone d'inchiesta su espianto degli ulivi e recinzione; o il cluster 2, al di qua della palude di Cassano. Nei pressi del cantiere del microtunnel un tempo c'era il presidio NoTap, è qui che in passato la tensione è salita alle stelle. Adesso ci attende soltanto un rigoroso - forse troppo stringente - dispositivo di controllo all'ingresso. L'appaltatore è Saipem, il fulcro dei lavori fino al 26 aprile è stato il pozzo di spinta: una camera cubica profonda 11 metri, da cui sbuca l'imbocco del microtunnel in cemento largo 3 metri. Abbiamo la possibilità di affacciarci in questa specie di "stargate": da lì la talpa (una fresa capace di aspirare il materiale di scavo) s'è incuneata nel sottosuolo per 1.540 metri, prima a terra (620 metri) e poi a mare (920), a una profondità variabile (10 metri all'altezza del pozzo, 16 sotto la spiaggia e 27 sul fondale marino). «Una tecnica avanzata, senza la minima interferenza», chiosano i tecnici.

Il microtunnel è l'addizione di conci in cemento, inizialmente lunghi 2,3 metri, poi di 3 metri: per questo ne erano avanzati circa 20, per un po' rimasti al cantiere di San Basilio tanto da attirare l'attenzione dei No Tap e da far sospettare che il microtunnel fosse in marcato ritardo. Il serpentone è stato invece completato, intercalato ogni 100 metri da conci muniti di speciali sensori. Idem per il pozzo di spinta in falda: modificato su richiesta dell'Autorità di bacino. Tra dieci mesi sarà ormai riempito e coperto da suolo agricolo: al cantiere Saipem come unico indizio resterà soltanto una valvola di blocco, che isola la sezione a mare da quella a terra. Andranno via anche le due vistose vasche, bianca e verde: l'una per l'acqua, l'altra per i fanghi betonitici nuovamente immessi nel microtunnel, dopo rigenerazione. Il faro di attivisti e magistratura s'è concentrato anche qui, su San Basilio: si ipotizza l'inquinamento della falda per contaminazione dal cemento (15 indagati, stessa inchiesta del cluster 5 a Le Paesane).

La talpa da 18 metri invece è ancora a fine corsa, lì nascosta nel sottosuolo marino, così come il palancolato (barriera temporanea a protezione della flora marina): sarà prelevata dopo l'estate, poi entrerà in gioco la nave Castoro sei. La posatubi stenderà i primi metri di condotta in acciaio e si allontanerà progressivamente verso l'Albania, in contemporanea un argano nei pressi del pozzo di spinta tirerà su il tubo (saldato a bordo) per i 1.540 metri del microtunnel, fino all'imboccatura del pozzo per la connessione alla tratta interrata.

L'ulteriore sprint ai lavori verrà assestato in autunno. Provando a saltare l'ultimo fossato: la presenza di formazioni coralligene in prossimità dell'exit point. A maggio Tap ha presentato al ministero istanza per verificare la non assoggettabilità a Via del microtunnel, in precedenza aveva ritirato e nuovamente depositato la documentazione relativa alle prescrizioni sul coralligeno, ritoccando - spiegano - «in senso migliorativo» i progetti. Comune e associazioni hanno già presentato le prime osservazioni e intravedono lo spazio per rallentare l'opera e far saltare il banco. Tap spera invece in un esito positivo e rapido. E in fondo si torna sempre lì: al mantra del tempo e dei tempi.
 

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