Tap, da Lendinuso a San Foca
il “giallo” del cambio d’approdo

Tap, da Lendinuso a San Foca il “giallo” del cambio d’approdo
di Francesco G. GIOFFREDI
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Venerdì 31 Marzo 2017, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 10:46

In principio fu Lendinuso, agli albori della prima amministrazione Vendola. Poi quasi all’improvviso spuntò il sito di San Foca, che all’alba dei primi studi di fattibilità fu pure soppesato, valutato, inserito nei macro-corridoi e temporaneamente accantonato. Da opzione outsider, però, nel 2010 l’approdo Tap alla marina di Melendugno mise silenziosamente la freccia e sorpassò tutti gli altri punti d’attracco lungo la costa adriatica: non pochi, e in larga parte nel segmento di costa tra la città di Brindisi e la propaggine più meridionale della provincia messapica. «Ragioni tecniche e ambientali» - scandisce sempre come un mantra il Consorzio - hanno indirizzato scelta e infine decreto autorizzativo su San Foca. Sì: nelle tappe intermedie dell’iter, o persino nei felpati confronti politico-istituzionali, i corridoi brindisini sono stati setacciati e riproposti, anche in epoca Emiliano. Vero: c’erano oggettive ragioni per scartare quei siti, e la procedura Via non ha viceversa sollevato grandi eccezioni su San Foca. Però no: a un certo punto del domino-Tap qualche tessera dev’essersi inceppata, quantomeno in Regione. Nel decennio vendoliano il gasdotto Tap è stato prima auspicato (al pari di Igi Poseidon, approdo a Otranto: altra storia) perché cruciale nelle strategie di approvvigionamento energetico, poi sostenuto e condiviso con il territorio brindisino quand’era in programma a Lendinuso, quindi quasi dimenticato, infine più o meno osteggiato quando è riaffiorato a San Foca e la tensione sul territorio cominciava a inasprirsi, peraltro senza proporre - come era nelle facoltà della Regione - ipotesi alternative.
Con ordine, allora. Tra i protagonisti dell’intreccio, nelle prime battute del copione, c’è Sandro Frisullo. L’allora vicepresidente della Regione, e assessore allo Sviluppo economico, ricorda nel suo ultimo libro: «Alla localizzazione di Lendinuso si pervenne dopo una intensa concertazione con gli enti locali del Brindisino e dopo una individuazione comune e condivisa con gli allora rappresentanti di Tap. Tali scelte furono rese pubbliche alla Fiera del Levante (nel 2008, ndr) e furono solennemente illustrate a Tirana dal presidente Vendola», «ci si chieda piuttosto perché, a partire dalla fine del 2009, non si è dato seguito e non si è concluso tale percorso. Per tre anni la questione è stata “sommersa” per riemergere d’incanto con il sito di San Foca». Come aggiunge lo stesso Frisullo, «il riferimento polemico è all’assenza, nel periodo post 2009, del ruolo di coordinamento da parte del governo regionale» di cui l’ex assessore salentino non faceva più parte. Nota a margine: su Lendinuso c’era uno studio di fattibilità finanziato per metà dall’Ue e depositato da Tap al ministero dello Sviluppo economico.
Ma da quale cilindro fu pescata allora San Foca? E perché, se tutti sembravano d’amore e d’accordo su Lendinuso? Come raccontano le carte Tap, la marina di Melendugno era nel bouquet di opzioni primordiali, già prima del 2006. Quando nel 2008 Tap s’accorse che l’ingente presenza di posidonia a Lendinuso rischiava di farla incappare nella procedura d’infrazione europea, provò a chiedere a governo e Regione la mediazione con Bruxelles, ma a quanto pare non trovò grandi sponde. Il consorzio riannodò allora i fili dei corridoi brindisini e salentini, e nel 2010 virò su San Foca perché a Brindisi e dintorni era un dedalo di vincoli e ostacoli (quegli approdi sono oltretutto stati ripassati al setaccio in fase di Via ministeriale). E la Regione, in tutto ciò? Probabilmente pensò - rassicurata forse da esponenti della politica salentina - che il territorio melendugnese avrebbe capito e metabolizzato. Non fu così. E, insomma, il dossier a Bari cominciò a essere una patata parecchio rovente: opera sì strategica, era il refrain, ma non a San Foca. Tap però aveva già avviato gli ingranaggi della Via ministeriale, verso l’autorizzazione unica. E in quegli spazi la Regione qualcosa poteva ancora dire o fare: il no del comitato Via regionale (che arrivò), i tavoli con i sindaci per immaginare approdi alternativi (ma perlopiù nell’ultimo tratto del decennio vendoliano), il confronto pubblico e l’ascolto della comunità a più riprese tramite gli Ost (venne pure l’allora sottosegretario De Vincenti), e la partita della Conferenza di servizi.

Proprio in quest’ultima sede, dicembre 2014, l’assessore Lorenzo Nicastro negò l’intesa con i ministeri sull’opera a San Foca. La procedura per superare il diniego fu affidata alla presidenza del Consiglio dei ministri e al valzer di riunioni tecniche in cui la Regione avrebbe potuto proporre un sito alternativo. Ipotizzò invece una rosa (Casalabate, Lendinuso, il porto di Brindisi), e chiese di convocare i sindaci di Brindisi, Torchiarolo, San Pietro e Otranto perché teoricamente interessati. Risultato: porta sbattuta in faccia da tutti i Comuni, «perché non c’è una conoscenza approfondita del progetto» e giù il sipario. Il resto è cronaca: l’autorizzazione unica e il collo di bottiglia di una vicenda, forse, nata zoppa. Almeno nelle sue dinamiche politico-istituzionali.

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