Dagli scantinati al lavoro a domicilio, storia di Daniela, sfruttata del Tac: «Cuciamo a mano anche nove ore al giorno»

Dagli scantinati al lavoro a domicilio, storia di Daniela, sfruttata del Tac: «Cuciamo a mano anche nove ore al giorno»
di Anna Rita INVIDIA
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Domenica 18 Aprile 2021, 09:10 - Ultimo aggiornamento: 16:02

«All'epoca avevo solo 15 anni. Ora ne ho 55. Che cosa è cambiato in sostanza? Nulla. Sfruttamento era allora e sfruttamento è oggi. Anzi, adesso è peggio perché le aziende per evitare rischi hanno imparato a camuffarsi di legalità più di quanto non lo facessero prima. In apparenza, è tutto a posto: per due euro all'ora cuciamo a mano capi che poi vendono venduti fino a 10mila euro».
Daniela 40 anni fa era una delle tante baby operaie che hanno fatto scandalizzare il Salento. Ragazzine che da poco avevano terminato le scuole medie e che - per dare una mano in famiglia - sono andate a lavorare nelle tante camicerie che negli anni Ottanta sono spuntate come margherite spontanee in tutto il Salento. Lavoravano in aziende che spesso erano degli scantinati per una paga da fame, alla faccia di qualsiasi contratto di lavoro. «Ma avevo 15 anni - racconta Daniela - e quei soldi, anche se pochi, facevano comodo a casa. Quasi tutte le mie amiche lavoravano in una camiceria. Ci sembrava una cosa normale. Anzi, ci sembrava una cosa buona perché tanta gente finalmente lavorava, quasi tutte ragazze. Non sapevamo di essere sfruttate. Certo ci rendevamo conto che non ci davano molto ma pensavamo che fosse così ovunque».

Il confronto con l'estero

 

Gli anni e la competitività di altri Paesi (che potevano pagare meno di noi) hanno fatto poi emergere la fragilità di un sistema produttivo, che più che sulle capacità imprenditoriali e sugli investimenti, si basava in buona parte sul basso costo della manodopera. Era quella la forza del nostro Tac, almeno di buona parte di esso. Poca cosa per andare avanti e reggere la concorrenza vera, soprattutto quando sono arrivati i sindacati, quando sono arrivati i controlli e le operaie sono potute uscire dagli scantinati. Il Tac è crollato come un gigante di argilla, lasciando senza lavoro migliaia di persone.
Tra queste c'era anche Daniela. «Ci hanno mandate a casa - racconta la donna - perché non ce la facevano a pagarci come dovevano. Le ispezioni erano tante e non potevano rischiare».
Ora Daniela è sposata, ha due figli, uno di 25 e uno di 15, ed è tornata a lavorare per un'azienda dell'abbigliamento che lavora su commissione per grandi brand della moda internazionale.

Rigorosamente da casa e rigorosamente con buste paga fasulle, ritoccate, altrimenti non si riuscirebbero a giustificare certi importi così miseri.

Il retroscena


«Siamo in tante a fare questo lavoro a casa - continua l'operaia a domicilio -, cuciamo a mano per otto, nove ore. Per quello che riusciamo perché è un lavoro faticoso ma sopratutto deve essere un lavoro perfetto, fatto per bene, senza il minimo difetto visto che parliamo di capi di alta moda». Un lavoro che puoi fare solo se hai esperienza eppure pagato solo 2 euro l'ora, in media.
«Sì, alla fine tanto ci pagano - continua Daniela -, prima non avevamo contratto, facevamo tutto in nero. Poi quando sono iniziati i controlli a causa del Covid e noi dovevamo andare in azienda a consegnare la produzione, sono stati costretti a farci un contratto nel caso in cui ci avessero fermate. Naturalmente sulla busta paga risultano molti meno capi di quelli che produciamo. E il gioco è fatto».
Daniela ora, a 55 anni, sa di essere sfruttata. «Lo sappiamo tutte - conclude -. Mio marito ogni giorno mi dice di mandare tutto al diavolo, ma ora con la pandemia anche lui lavora molto di meno. E quei pochi soldi, questa è la verità, ci servono. E poi, come ci ripetono sempre i titolari, se lasciamo noi, ce ne sono tante altre pronte a prendere il nostro posto». E anche questa è una storia vecchia di 40 anni.

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