La Corte di Cassazione penale boccia l'intero impianto normativo delle proroghe alle concessioni demaniali. Nelle 11 pagine di sentenza pubblicate giovedì scorso, rimarca ancora una volta la preminenza della legislazione comunitaria in tema di libera concorrenza e sottolinea come essa sia tutelata dalla Costituzione all'articolo 117. Dunque, per i Supremi Giudici, vige l'obbligo per il giudice penale di disapplicare la legge sulla proroga e considerare nulla la norma nazionale e gli atti che ne sono stati diretta conseguenza.
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Una sentenza durissima che però conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato da oltre un decennio. E che, peraltro, nel caso specifico, è un giudizio di legittimità non già sulla legge 145 del 2018 che ha prorogato le concessioni fino al 2033, ma sulla normativa precedente che le aveva prorogate fino al 31 dicembre 2020. La vicenda oggetto del procedimento giudiziario si concentra in Abruzzo e vede protagonista uno stabilimento balneare di Giulianova. La questione, nel dettaglio, è peculiare: la titolare ha uno stabilimento con concessione in scadenza a dicembre 2007. La Regione Abruzzo chiede, ai fini della proroga, la presentazione dell'istanza e il pagamento dei canoni. La signora non lo fa ma continua a gestire il lido.
La prima proroga automatica italiana post Bolkestein arriva dal legislatore nazionale nel 2009 ma solo per le concessioni in essere. Nel 2013, il comune di Giulianova avvia i controlli sul lido e scopre che le ricevute di pagamento 2007 e 2008 hanno data 2009. L'ingarbugliata vicenda giudiziaria prende il via con il sequestro preventivo per occupazione abusiva di demanio e la Corte di Cassazione penale che, con questa sentenza, conferma l'operato del gip perché, nel 2009 sono state prorogate le concessioni in essere. E quella della società in questione era scaduta nel 2007.
Quanto al rapporto tra la Direttiva Bolkestein, la legge nazionale e la giurisdizione penale, la Corte di Cassazione scrive che l'obbligo di disapplicazione della norma interna sulle proroghe automatiche grava «anche sul giudice penale, essendo stato affermato che il potere-dovere del giudice di disapplicare la normativa nazionale in contrasto con la normativa comunitaria sussiste solo laddove tale ultima normativa sia dotata di efficacia diretta nell'ordinamento interno. Ed è indubbio, dopo la pronuncia 227 del 2010 della Corte costituzionale, che l'art. 12 della Direttiva Bolkestein è self executing, cioè ha efficacia diretta nell'ordinamento degli Stati membri, dunque la stessa può essere disapplicata anche dal giudice ordinario». L'ultimo passaggio della sentenza è dedicato a una questione che le associazioni di categoria hanno dibattuto pochi giorni fa. E stronca ogni loro speranza di mantenere i lidi anche senza titolo autorizzativo da parte dei Comuni: «Va, infine, richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l'esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell'istanza di rinnovo, attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione».