Spy story in un calice di vino: il doppio gioco dello spionaggio con Megale e Maci. «Abusi e correità»: così agivano aziende e investigatori privati

Spy story in un calice di vino: il doppio gioco dello spionaggio con Megale e Maci. «Abusi e correità»: così agivano aziende e investigatori privati
di Erasmo MARINAZZO
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Venerdì 24 Aprile 2020, 10:41 - Ultimo aggiornamento: 11:00
Accesso e copie di documenti e filmati grazie al contratto di manutenzione del sistema informatico e di gestione della sicurezza dell'impresa. E passati alla concorrenza. Informazioni trasferite, all'insaputa dei suoi proprietari, dalla Megale Hellas di San Pietro Vernotico (finita l'estate scorsa nell'occhio del ciclone di una indagine della Procura di Lecce che contesta la contraffazione del vino) alle cantine Due Palme di Angelo Maci, di Cellino San Marco.

Racconta anche una storia di spionaggio aziendale l'inchiesta condotta dal pubblico ministero della Procura di Brindisi, Raffaele Casto, con i poliziotti della Squadra mobile e della Divisione amministrativa. L'inchiesta sull'esercizio abusivo di investigazioni e raccolta di informazioni, interferenze illecite nella vita privata e false informazioni a pubblico ufficiale. Inchiesta che ha visto il giudice per le indagini preliminari, Maurizio Saso, avallare la richiesta di mettere agli arresti domiciliari due rappresentanti della società De Giorgi Global Service: l'ex poliziotto Antonio Carrozzo, 58 anni, di Brindisi, originario di Carmiano, con alle spalle una condanna a 23 anni di reclusione per omicidio volontario, e Angelo D'Alò, 56 anni, di Brindisi.

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La storia verte sul doppio filo che ha legato le due aziende vinicole alla De Giorgi Global Service. La Megale Hellas si era affidata a questa società di Brindisi per garantirsi i servizi di sicurezza interna ed esterna, portierato, sorveglianza, installazione di telecamere ed estrapolazione delle relative immagini. D'Alò - dicono questo le carte dell'inchiesta - era stato delegato a seguire questo cliente. Un cliente importante: 200 dipendenti ed un fatturato di 90 milioni di euro all'anno, per la Megale Hellas. Oltretutto alla stessa persona era stato affidato anche l'incarico di manutenzione dei computer.

Il patron delle cantine Due Palme, Angelo Maci, si sarebbe invece affidato a Carrozzo, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti: l'11 settembre di due anni fa lo avrebbe incaricato di investigare in via riservata proprio sulla Megale Hellas. «Angelo Maci, suo correo nella violazione del patto fiduciario intercorrente fra la Global Service da una parte e la Megale Hellas dall'altra», la valutazione del giudice. Va detto, peraltro, che Carrozzo a sua volta registrava le conversazioni telefoniche con Angelo Maci per conservarle in un archivio elettronico. In quella occasione alla società di investigazioni abusiva, secondo l'accusa, poiché avrebbe operato senza la licenza del Prefetto sarebbe stato chiesto anche di pedinare e controllare due persone. Un'altra interferenza illecita nella vita privata, secondo la ricostruzione dell'accusa.

Materiale poi ritrovato dagli investigatori nel corso delle indagini e delle perquisizioni: come la pendrive in casa di D'Alò, contenente i dati scaricati dai computer della Megale Hellas. Documenti e video. E le conversazioni di Carrozzo con Angelo Maci in cui gli spiega il sistema di intercettazioni con le schede telefoniche comprate dai marocchini, per non risalire al nome dell'intestatario nel caso fossero stati scoperti.

«Violando in modo spudorato il patto fiduciario, Carrozzo si è prestato ad assecondare i voleri di un concorrente della cantina Megale Hellas (Maci Angelo, rappresentante legale della Cantina Due Palme)», rileva il giudice dell'ordinanza. «Fornendogli i filmati registrati mediante gli strumenti posti a tutela della sede operativa della Megale Hellas». Una constatazione. A cui segue una riflessione dello stesso giudice: «Quel che si legge fa comprendere perfettamente (qualora ve ne fosse ancora bisogno), per quale motivo a persone che non siano di specchiata ed illibata condotta di vita, è interdetto l'esercizio di attività di investigazione privata. E sono interdette tante altre attività che agevolmente conducono all'abuso chi le svolga e non sia onesto».

Questa volta la Megale Hellas è indicata come vittima di quello che gli inquirenti ritengono un reato. L'11 luglio dell'anno scorso finì al centro del blitz Ghost Wine, ossia Vino fantasma, della Procura di Lecce, dei carabinieri del Nas e dell'Ispettorato centrale repressione frodi (Icqrf) del ministero delle Politiche agricole. Con undici arresti e 30 milioni di litri di vino sequestrati. Nessun vincolo adesso su persone e cose, si attende l'udienza preliminare.
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