Seccia: «Prendiamo esempio dai nostri amici-santi»

Il vescovo Michele Seccia durante la processione
Il vescovo Michele Seccia durante la processione
di Leda CESARI
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Sabato 25 Agosto 2018, 05:00
<CP9.7>La prima volta di monsignor Michele Seccia. Il suo primo discorso alla città, tenuto per sua precisa volontà dalla cassarmonica in piazza Sant’Oronzo; la sua prima processione con i Santi Patroni, ricordando subito che non di «rievocazione medievale» deve trattarsi, «ma di cammino di fede alla ricerca del senso più profondo della nostra vita». La prima festa di Sant’Oronzo per il nuovo arcivescovo di Lecce, che esordisce annunciando che l’anno prossimo, probabilmente, arriveranno in città le spoglie del Patrono, «quelle cui ho reso omaggio nei giorni scorsi a Turi, ammirando il vero volto del Santo».
Alla ricerca del senso della vita, e della vera bellezza: che non è «il volto apparentemente bello di chi si mostra a tutti i costi al top per paura di perdere qualche like», scrive l’arcivescovo nel suo discorso - poi “tradito” perché Seccia, in piazza, decide di parlare a braccio («Non voglio tenervi in piedi tanto tempo») - quanto piuttosto «il volto realmente bello che racconta di una Lecce fatta di accoglienza, di inclusione, di integrazione delle diversità, di cordialità, di rispetto per l’ambiente, di amore per il bene comune e per il bene gli uni degli altri». Perché sì, «la nostra città è bella certamente oggi, vestita a festa, per i ricami dei suoi palazzi, per le vie della movida, per i musei e per le chiese che abbiamo voluto aperte perché il fascino della loro arte risvegli nei cuori più sensibili il fascino di Dio e della fede». 
Ma Lecce «non è solo questo», poche immagini sbrilluccicanti che valgono «lo scatto di una fotografia o il ricordo di una cartolina. Lecce è molto di più», bella anche laddove nessuno scatterebbe mai una foto, «perché racconterebbe fotogrammi di una quotidianità vissuta e spesso silenziata dal chiasso delle nostre passeggiate». Ovvero, anche e soprattutto nelle periferie e lì dove la sofferenza regna sovrana: «In ogni angolo abitato da situazioni di dolore che forse, per pudore o per nostra manchevolezza, conosce solo Dio».
Lecce è più bella e vera, insomma, quando «quando il suo volto diventa più umano», racconto di un popolo «generoso e caritatevole». Quando insomma le sue piazze tornano ad essere agorà, «luoghi di incontro e di scambio in cui condividere la vita e crescere insieme». Perché i problemi si risolvono non alzando muri, «ma costruendo ponti di dialogo indistruttibili» e «radicati nella Verità». Senza confronti sui social, ma con confronti personali e diretti attraverso i quali trovare «soluzioni più facili e vere».
E poi, prosegue Seccia appellando più volte i leccesi come «fratelli e sorelle» – ma anche i turisti presenti «nel nostro meraviglioso Salento» - attenzione anche a inquadrare come si conviene la festa presente, la festa di coloro «che se la tradizione ci tramanda come patroni, la liturgia ci presenta come amici e modelli di vita: Oronzo, Giusto e Fortunato». Che non devono essere considerati appunto semplice pretesto per una festa di fine agosto, fatta di bancarelle, luminarie e tuttalpiù per una puntatina in Cattedrale a chiedere grazie. «Questo, lo sappiamo, non basta», avverte l’Arcivescovo di Lecce. Giusto infatti «sentire i santi nostri amici, spalla sulla quale piangere», ma, più di ogni cosa, è bene mettere a frutto i talenti personali: «I nostri santi non ci confezionano in schemi predefiniti, non ci vogliono come loro, ma ci incoraggiano a diventare santi così come siamo, perché Dio ci ama così». E ai Santi patroni e a Sant’Oronzo, «che oggi ci mostra il suo vero volto», prosegue l’Arcivescovo riferendosi al ritrovamento del nuovo reliquiario con le spoglie del primo vescovo di Lecce a Nona, in Croazia, va chiesto «di aiutarci a discernere quelli che sono i beni di prima necessità - come il pane, il lavoro o la casa- e i beni non essenziali ad una vita dignitosa, o addirittura superficiali e dannosi».
Poi anche un momento di autocritica («Rancori, pregiudizi del passato e frasi del tipo “si è sempre fatto così”, orgoglio, superbia, pettegolezzi sono mali che come acido sfigurano il volto della nostra Chiesa»). Al contrario i patroni ci spronano sulla via della santità, non «dimensione lontana anni luce», ma condizione accessibile a tutti perché «molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendone testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove ci troviamo». Religiosi, laici, lavoratori, istituzioni: “Hai autorità? Sii santo”, esorta monsignor Seccia, “lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali”.
Poi un saluto del suo predecessore, monsignor Domenico D’Ambrosio («Ci siamo sentiti stamattina»), la lettura di un messaggio di auguri alla città, in vernacolo, da parte dell’indimenticato don Franco Lupo («è assente per motivi di salute, ma anche questo significa essere comunità»). Infine, la benedizione urbi et orbi: «Lecce sia capitale di accoglienza e fraternità». Pronti a ricominciare. Oltre le apparenze».
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