Scu, condannate le donne boss
Mogli e figlie guidavano il traffico di droga

Scu, condannate le donne boss Mogli e figlie guidavano il traffico di droga
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 29 Marzo 2018, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 12:30
Si è rivelato fondato il timore che serpeggiava fra i parenti degli arrestati dopo la lettura dell’ordinanza di custodia cautelare del blitz “Federico II” del 12 dicembre di due anni fa: «Hanno parlato troppo». Quelle microspie e le intercettazioni telefoniche in cui si diceva - fra le tante altre cose - “tre chili a voi, uno a Gallipoli ed uno a Cutrofiano” hanno fornito prove in abbondanza al giudice per l’udienza preliminare Cinzia Vergine per decidere sulla sentenza del processo con rito abbreviato: 37 imputati su 38, sono stati condannati complessivamente a 650 anni di carcere.
A guardare le singole condanne, alle donne imparentate con i boss in carcere sono state inferte alcune fra le pene più alte. A conferma dell’impianto accusatorio dell’inchiesta della Procura antimafia di Lecce con l’aggiunto Guglielmo Cataldi e degli uomini della sezione di Lecce della Dia (Direzione investigativa antimafia): le redini degli affari con la droga le avrebbero prese le donne dei pezzi da novanta in carcere. Gabriella De Dominicis, moglie del detenuto Massimo Signore e suocera del boss Andrea Leo, ha preso 18 anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Undici anni ed otto mesi a Maria Valeria Ingrosso, figlia della De Dominicis. Dodici anni, cinque mesi e dieci giorni a Francesca De Dominicis, sorella di Gabriella.
Venti anni, la pena più alta inflitta in questo processo che ha tenuto conto della riduzione di un terzo prevista dal rito abbreviato. È stata inferta a Giuseppino Mero, 44 anni, di Cavallino, accusato di aver fatto parte dell’organizzazione capeggiata dall’albanese Kristak Boci (20 anni anche per lui) che nel 2013 avrebbe importato droga nel Salento dall’Albania e dalla Turchia, nonché di numerosi episodi di cessione di dosi ai consumatori e ai pusher.Nove anni ed otto mesi aveva preso lo stesso imputato nel processo di primo grado di ottobre dell’anno scorso, dell’operazione “Oceano”. Con la medesima accusa. A lui, a Mero, è attribuita quella frase sui chili di droga da distribuire a Gallipoli e a Cutrofiano.
Ed ancora un’altra accusa di associazione a
 delinquere finalizzata al traffico di droga, per Mero: per l’adesione al gruppo delle donne dei boss. Una sorta di trait d’union nell’interesse alla circolazione della droga in arrivo dal canale d’Otranto. Ed anche della cocaina fornita dal collaudato canale albanese.
C’è anche l’accusa di mafia. Viene contestata a Gabriella De Dominicis e a Mario Mandurino, in concorso con altre persone colpite dalle inchieste “Augusta” e “Network” su fatti del 2007 e 2010. Perché gli arresti e i processi di quei procedimenti penali hanno creato un vuoto riempito poi dalle donne, la tesi dell’accusa. Con il compito sì di prendere ordini da chi stava dietro le sbarre (16 anni ha preso Andrea Leo), ma che avrebbero organizzato il traffico di droga senza doverne dare conto a nessuno. Come è accaduto in altre parti d’Italia, nelle terre permeate dalla mafia.
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