«Non scafisti, ma perseguitati in Turchia»: scarcerati

«Non scafisti, ma perseguitati in Turchia»: scarcerati
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 9 Settembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:13

Nessuna prova che fossero i due arrestati gli scafisti della barca a vela approdata a Santa Maria di Leuca domenica scorsa con a bordo undici migranti. Tutti turchi. Compresi il comandante ed il suo assistente. Tutti in fuga dalle persecuzioni scatenate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo il golpe fallito nella notte fra il 15 ed il 16 luglio del 2016. Tutti gulenisti, seguaci dell’Iman Fetullah Gulen, sostenitore dagli Stati Uniti del dialogo religioso ed interculturale e che per primo, fra gli islamisti, condannò l’attacco alle Torre Gemelli dell’11 settembre di 20 anni fa. Terroristi per Erdogan, i gulenisti, protagonista di una campagna di blitz in patria e di richieste di estradizione all’estero poiché una parte dei golpisti apparteneva a questo movimento religioso. Come il comandante, l’assistente e gli altri undici componenti dell’equipaggio approdato a Leuca.

La scarcerazione

Ieri mattina timoniere e marinaio sono stati scarcerati al termine dell’interrogatorio di convalida con il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Alcide Maritati: accogliendo la richiesta dell’avvocato difensore Andrea Stefanelli, il giudice ha ritenuto che non sussistessero gli indizi gravi per sostenere che quei due uomini fossero scafisti. Piuttosto il confronto nel carcere di Borgo San Nicola ha messo in luce le figure di rifugiati politici. Vittime, loro come gli altri undici migranti, della stretta autoritaria di Erdogan. Tutti sotto processo per reati di opinione, opinioni contrarie all’orientamento governativo. E, per questo terroristi. Il comandante, peraltro, già condannato in primo grado a sei anni di reclusione.

La difesa


Hanno esposto tutto questo gli indagati e la difesa nel corso degli interrogatori.

E tutto questo basta per sostenere che non fossero scafisti? No. C’è dell’altro. È stato prodotta la copia di un bonifico di 65mila euro versati all’ex proprietario della barca a vela. Barca, peraltro, dotata di tutti i documenti di bordo ed intestata - hanno riferito gli indagati - ad una donna facente parte dell’equipaggio arrivato in Italia. Barca acquistata con somme di denaro raccolte fra loro, con destinazione l’Inghilterra per dichiararsi rifugiati politici. Partiti il 20 agosto dalle coste turche. Per sfuggire alle persecuzioni, hanno sostenuto. Alla certezza del carcere.

I dettagli


A convincere il giudice a rimettere in libertà i due arrestati, anche qualche dettaglio che non torna se si guarda ai flussi di migranti arrivati sulle coste salentine negli ultimi anni: mai è accaduto che l’etnia degli scafisti fosse la stessa dei migranti. Dell’Est europeo, greci, a volte italiani (in particolare gli ex contrabbandieri brindisini), gli scafisti. Dell’Africa del Nord o provenienti dal Medio Oriente, i migranti. I 13 migranti gulenisti, anche loro insegnanti, funzionari pubblici, ex poliziotti e professionisti. Ed ancora: nell’informativa depositata in Procura non c’è traccia di ascolto di qualcuno dei trasportati che avesse indicato negli scafisti i due arrestati. Viene invece indicato che l’individuazione sia avvenuta nel momento in cui la motovedetta ha affiancato la barca a vela: sono stati ritenuti scafisti chi era al timone e chi ha lanciato la cima per consentire il traino in porto della barca. Un approccio stigmatizzato dal giudice nell’ordinanza che ha rimesso in libertà i due uomini, per ricordare che gli accertamenti sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina vadano svolti prima di arrestare qualcuno e non successivamente quando alle persone è stata tolta la libertà.

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