San Cataldo, è l'ora della svolta: incontro fra imprese e Comune

Il mare in tempesta davanti al Faro di San Cataldo
Il mare in tempesta davanti al Faro di San Cataldo
di Paola ANCORA
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Lunedì 29 Febbraio 2016, 06:16
Soluzioni per rilanciare San Cataldo, anche e soprattutto grazie all’aiuto dei privati. Di questo si discuterà oggi, nel corso dell’incontro convocato dalla Giunta alle 11 a Palazzo Carafa. Invitate tutte le associazioni di categoria e imprenditoriali, la Camera di Commercio e il comitato “I guardiani del Farò” che per il 13 marzo prossimo sta organizzando, nella marina dei leccesi, una grande festa di piazza, proprio con l’obiettivo di riappropriarsi di questo luogo dimenticato, periferia della città.
«I lavori - precisa una nota a firma del vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici e alle Marine, Gaetano Messuti - si apriranno con un excursus sugli investimenti fatti negli anni e su quelli in essere. Al contempo saranno valutate nuove possibili strategie di investimento con il coinvolgimento dei privati».
 
Necessario, secondo il Comune, anche per ovviare alla carenza di risorse nelle casse dell’ente, che nei giorni scorsi ha stanziato 20mila euro per la manutenzione “urgente” di aiuole e spazi verdi non solo a San Cataldo, ma anche a Borgopiave e in tutte le altre marine del capoluogo, da Torre Rinalda a Spiggiabella, da Torre Chianca a Frigole.
Intanto, ieri, nonostante il forte vento di scirocco, molti leccesi hanno raggiunto la marina di San Cataldo per una passeggiata domenicale.
Negozi e bar chiusi. Strade piene delle erbacce tagliate di recente e ammonticchiate in piccoli cumuli facili vittime del vento. Cassonetti ribaltati, alcuni pieni. E poi lo stesso grumo di rabbia e desolazione che abbiamo raccontato nei giorni scorsi e che, oggi, indossa i panni e le voci dei leccesi, operatori e cittadini.
«Qui manca tutto, dall’ago al missile» si sfoga Lillino, titolare di uno storico chiosco bar di fronte al Faro. Dentro, insieme a lui, qualche avventore, molte foto di Papa Francesco e alcune, storiche, del duce, Benito Mussolini. «Siamo i soli aperti tutto l’anno - continua - e la domenica viene gente, ma paghiamo troppe tasse per quello che abbiamo in cambio». Per la strada incrociamo Luca, sociologo; Angela, critica d’arte ed Enzo, impiegato. Tre storie diverse, tre professioni diverse, ma un’unica via per rilanciare la marina: «Avvicinare Lecce alla sua marina, com’era vent’anni fa e com’è, oggi, in tante altre località turistiche italiane ed europee». «Il problema - dice Luca - è che si dovrebbe innescare anche un cambio di mentalità nei leccesi, che non vivono questo luogo come una parte integrante la città, del tutto scollegata da San Cataldo». Non mancano soltanto i trasporti, con pochissime corse dei bus tanto in periodo estivo che invernale. Manca un qualsiasi tipo di “connessione”: dal cartellone eventi alle infrastrutture. «Non ci si rende conto - continua Angela - che è un grande privilegio avere il mare a due passi da casa. Prima all’ingresso di San Cataldo dal Fondone c’era una sorta di polo operativo, con macelleria, pescheria e varie altre attività. Oggi non c’è nulla. Tempo fa hanno inaugurato un museo all’interno del Faro che, dopo pochissimo, ha chiuso e tutti ne hanno perso le tracce, non sanno nemmeno che esiste. Come moltissimi cittadini non sanno dell’esistenza del molo di Adriano», costruito dall’imperatore romano nel II secolo dopo Cristo. «Oggi qui è il deserto - aggiunge Enzo - e vent’anni fa c’era una bellissima arena, dove proiettavano film, si riuniva tanta gente. Non a casa sono sorte, in quegli anni, ville e case bellissime, alcune delle quali, oggi, sono del tutto abbandonate». Del resto, chi spenderebbe soldi per manutenzione e tasse per abitare nel nulla? Chi può vende, o almeno ci prova visto il periodo di crisi. E d’estate si trasferisce altrove, da San Foca - marina di Melendugno a due passi da San Cataldo - a Otranto.
Il tempo di un caffè al caldo, prima di riprendere passeggiata e confronto con i leccesi. Leo Curasi, titolare di un ristorante proprio di fronte al Faro, ha appena chiuso la cucina. «Pensi che ieri, dopo qualche anno, sono passati per la prima volta a spazzare la strada con la macchina pulitrice. Potrei fermarmi qui». E invece l’imprenditore non si ferma ed è un fiume in piena. Sua l’idea, provocatoria, di lanciare l’hashtag #viadalecce, come segno di protesta «per l’abbandono cui è stato condannato questo luogo. Stiamo a vedere se il Comune, per la festa del 13 marzo, sarà disponibile almeno a far arrivare un bagno pubblico, atteso che la domenica, quando c’è mercato, qui è tutto un via vai di persone che chiedono di poter usare la toilette perché non esiste lo straccio di un servizio».
Poi c’è il nodo tasse. «Ci sono colleghi che da anni - accusa Curasi - chiedono di poter mettere una pagoda esterna, per riparare i clienti dal vento. Si lotta per riuscire a ottenere la concessione di suolo pubblico, pagata a caro prezzo, visto che non è giusto sborsare qui appena meno di quanto si pagherebbe per i tavolini di un bar in piazza Sant’Oronzo. E mentre noi lottiamo, nel centro storico della città autorizzano qualsiasi attività, derogando al Piano regolatore e trasformando senza pensarci strutture residenziali in spazi da adibire al commercio e alla somministrazione di bevande». Il riferimento è ai tantissimi pub aperti anche dove il Prg indica una destinazione d’uso “ad appartamenti”, questione sulla quale si è acceso, tempo addietro, un faro della Procura e il dibattito politico. «McDonald’s, in piazza, occupa due piani, di cui uno interrato, proprio davanti all’Ovale e qui bisogna impazzire per montare e smontare una baracca? Qual è la differenza? A quale professionista bisogna rivolgersi per avere la pratica approvata?» chiede sferzante Curasi.
Ad ammirare il mare in tempesta, sul lungomare Vespucci, una coppietta e un gruppo d’amici cinquantenni. Francesco studia Design al Politecnico di Milano. Ha 24 anni ed è leccese. «Se potessi decidere io - dice - preparerei un cartellone di concerti qui a San Cataldo. Prenderei ad esempio Gallipoli, ma senza gli eccessi che ha raggiunto la Città Bella». Ma prima, chiedono Barbara, Antonio, Adriano e Beatrice, «si pensasse ad abbattere quell’edificio fatiscente sul lungomare. è veramente un obbrobrio. Qui - raccontano - ci veniamo qualche volta, ma è davvero desolante. Anche perché basta spostarsi fino a San Foca e la storia cambia. Perché fermarsi qui?». Già. Perché?
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