Salento, la discarica di Burgesi è pronta a chiudere, si rischia il caos. Da Regione: mappatura dei pozzi per la nuova area

La discarica di Burgesi
La discarica di Burgesi
di Maurizio TARANTINO
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Lunedì 30 Maggio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:05

«Burgesi deve chiudere entro il 30 giugno come previsto dal Piano regionale dei rifiuti». Il tono del vicesindaco di Ugento, Massimo Lecci è categorico: basta ritardi o proroghe, il vaso è colmo. Come il livello della discarica che per anni ha accolto i conferimenti dei rifiuti di buona parte del Salento. E forse non solo. Lecci quindi parte da quanto deliberato dalle assise baresi.  Intanto la giunta regionale ha deliberato: utilizzando l’avanzo di amministrazione, la Giunta ha deciso di dare avvio senza indugio alla definizione dello Studio idrogeologico dell'area ed alla mappatura dei pozzi che sono attività propedeutiche alla successiva individuazione della corretta ubicazione dei nuovi pozzi di monitoraggio della falda.

Il Piano regionale dei Rifiuti urbani

«Il Piano Regionale Gestione Rifiuti Urbani -sottolinea- approvato in via definitiva lo scorso 14 dicembre, dà espressamente atto di come le volumetrie residue potranno garantire una capacità di conferimento limitata al primo semestre 2022. Un termine perentorio che aspettiamo ormai da anni e che ci aspettiamo venga onorato, in primis dall’assessore all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio». Una richiesta che l’amministrazione di Ugento, guidata dal sindaco Salvatore Chiga, vuole sostenere con una perizia di un topografo che nei prossimi giorni sarà incaricato direttamente di verificare il livello di riempimento del sito. «Non vogliamo lasciare nulla al caso - continua il vicesindaco- e per questo domani in consiglio comunale, chiederemo le somme per l’incarico da affidare al professionista. Poi, una volta avuto il report chiederemo un contraddittorio con Ager e la Regione, in modo da chiarire in modo definitivo l’impossibilità di continuare con Burgesi».

La posizione dell'amministrazione

Già lo scorso 22 dicembre l’amministrazione si era mossa per arrivare alla chiusura della discarica di Servizio e Soccorso annessa all’impianto di biostabilizzazione di Ugento. Le assise, in quell’occasione, avevano approvato una mozione in cui si impegnava il sindaco «ad intraprendere tutte le azioni utili ad assicurare la chiusura della discarica di Burgesi al termine della volumetria residua attualmente disponibile». La nota si concludeva, dopo aver sottolineato la necessità di trovare siti alternativi, prendendo atto delle determinazioni del consiglio, «scongiurando ogni ipotesi di sopralzo che sarebbe ostacolata dall’amministrazione in ogni sede, non esclusa quella giudiziaria. Entro il prossimo 30 aprile, si renderà comunque necessario acquisire un dato aggiornato sulle volumetrie disponibili di cui, sin d’ora, se ne chiede formale riscontro». Un avvertimento neanche troppo velato da parte degli ugentini non disponibili ad accettare ulteriori rinvii nella chiusura del sito, anche per il presunto occultamento illegale di 600 fusti di Pcb di cui si parla ormai da decenni provenienti dalle discariche di mezza Italia. 
Su quale sarà la destinazione dei rifiuti salentini però c’è ancora molta incertezza.

La discarica di Corigliano

La discarica di Corigliano che tra molte polemiche è stata inserita nel ciclo dei rifiuti e che dovrebbe restare aperta fino al 2025 resta un’incognita. 
«Eppure per realizzarla -conclude Lecci- sono stati investiti ben 12 milioni di euro. Però non se ne parla più, come se si volesse sotterrare il problema. Noi però siamo stufi di trovare sorprese e vogliamo garanzie. Altrimenti saremo pronti a dare battaglia anche nelle aule giudiziarie». In sede di approvazione del Piano dei riifuti, nel dicembre scorso, la località coriglianese di masseria Scomunica era stata confermata accogliendola tra quelle necessarie al funzionamento del ciclo se pure con la chiusura fissata al 2025. Un utilizzo subordinato ad alcune condizioni messe nero su bianco dal consigliere regionale Pd, Donato Metallo, cioè alla predisposizione di un piano specifico di monitoraggio ambientale, all’esclusivo conferimento di rifiuti urbani che abbiano subito una biostabilizzazione spinta e un processo di “inertizzazione” (ad esempio a base di cemento, calce, argilla o similari) che consenta di immobilizzare e quindi ridurre sensibilmente il rilascio di sostanze potenzialmente inquinanti. 

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