«Strangolò il coinquilino», niente più ergastolo. Pena ridotta a 24 anni

«Strangolò il coinquilino», niente più ergastolo. Pena ridotta a 24 anni
di Pierangelo TEMPESTA
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Giovedì 11 Maggio 2023, 21:32

Ventiquattro anni di carcere - a fronte dell'ergastolo al quale era stato condannato in primo grado - per Rocco Pierri, 45enne di Miggiano accusato dell'omicidio di Maurizio D'Amico. La sentenza è stata pronunciata ieri dalla Corte d'Assise d'Appello di Lecce. A distanza di quasi 22 anni dai fatti, dunque, si chiude il secondo capitolo del processo per la morte dell'operaio 26enne di Serrano, frazione di Carpignano Salentino. I giudici (presidente Vincenzo Scardia, a latere Antonia Martalò) hanno escluso una delle aggravanti contestate all'imputato, concedendo così uno sconto di pena all'uomo che, secondo l'accusa, nella notte tra il 16 e il 17 settembre 2001 pose fine alla vita del suo coinquilino ad Adliswill, nei pressi di Zurigo. La vittima, stando a quanto contestato dai giudici, venne uccisa a scopo di rapina.

All’epoca dei fatti, Pierri viveva con D'Amico in Svizzera per lavoro e aveva trovato un impiego in una ditta di costruzioni.

Avrebbe ucciso il suo coinquilino servendosi di una sciarpa, per poi infilare la testa della vittima in un sacchetto di plastica chiuso con del nastro adesivo. Con la carta di credito della vittima, poi, avrebbe effettuato un prelievo di 300 franchi svizzeri, fattore, questo, che ha avvalorato per gli inquirenti l'ipotesi che l'omicidio fosse avvenuto a scopo di rapina. L'autopsia evidenziò tutti i segni della morte per strangolamento. Successivamente Pierri tornò e si ristabilì in Salento. Venne arrestato quasi per caso il giorno di Natale del 2012, sulla provinciale Taurisano-Miggiano.

I poliziotti del commissariato di Taurisano, impegnati in un normale controllo della circolazione stradale, lo fermarono mentre era alla guida della sua auto insieme alla compagna. Bastò un controllo nella banca dati in uso alle forze dell'ordine per scoprire che, a suo carico, già dal 2009 esisteva un mandato di cattura internazionale ai fini dell'estradizione emanato in seguito alle indagini avviate dagli investigatori svizzeri. Il processo iniziò nel 2013: a distanza di dodici anni da quell'efferato delitto, l'imputato venne incastrato incastrato dal dna rinvenuto sul corpo della vittima, anche se in sede di convalida dell'arresto l'uomo ammise di conoscere D'Amico ma respinse ogni accusa sulla sua morte. Le indagini della Procura di Lecce, coordinate dal sostituto procuratore Francesca Miglietta, nell'ottobre del 2020 hanno portato a una condanna in primo grado all'ergastolo. In Appello, però, i giudici hanno ritenuto di ridurre la pena a suo tempo stabilita dalla Corte d'Assise (presieduta dal giudice Pietro Baffa) e di condannare l'uomo a 24 anni di reclusione. Nel corso del processo si sono costituiti parte civile i genitori (nel frattempo il padre della vittima è venuto a mancare), i fratelli e la sorella di D'Amico, assistiti dagli avvocati Salvatore Centonze, Alessandro Stomeo e Katia Botrugno. Per loro, confermando quanto già deciso in primo grado, i giudici hanno disposto una provvisionale di 50mila euro ciascuno, in attesa della quantificazione del danno, che sarà stabilita in sede civile. L'imputato è stato difeso dagli avvocati Ester Nemola e Tommaso Stefanizzo. Il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza è stato fissato in 90 giorni. Dopo aver conosciuto i motivi alla base della decisione, la difesa dell'imputato potrà eventualmente valutare di proporre ricorso alla Corte di Cassazione.

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