Cataldo Motta: La Sacra Corona è fluida, l'abbiamo combattuta e scoperta in tempo reale»

Scu, quarant'anni fa nasceva la quarta mafia

Cataldo Motta
Cataldo Motta
di Roberta GRASSI
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Domenica 7 Maggio 2023, 11:24 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 11:44


Una storia lunga otto lustri, quasi tutta in chiaro. Una storia narrata quasi in tempo reale nelle carte di inchieste e dei processi che l'hanno scandita sin dal principio. Se c'è un magistrato in Salento, in Puglia, in Italia, che la conosce tutta è senza alcun dubbio Cataldo Motta. Già procuratore della Repubblica di Lecce, oggi a riposo (per modo di dire). Ne conosce il prima, il durante e il dopo. Ne immagina il futuro. Un futuro destinato alla lotta, sempre e comunque, con il male "incurabile": tesi che ha sempre affermato, e che rimane un punto fermo anche adesso che continua a occuparsene per lezioni, studi, approfondimenti dal suo ufficio personale. Sommerso dalle carte e con il codice penale nella sua valigetta di pelle nera.


Procuratore Motta, iniziamo dalle basi. Concorda sulla datazione convenzionale? La fondazione della Sacra corona unita risale al primo maggio 1983 come è scritto un po' ovunque?
«È così, abbiamo trovato l'atto costitutivo di Pino Rogoli. È stato sequestrato nel carcere di Bari.

Una pagina d'agenda del primo maggio».


Quarant'anni tondi, insomma. Ma lei ha iniziato a occuparsi di criminalità ben prima.
«Sono del 45. Sono entrato in magistratura nel 1971. E nel 75 sono arrivato a Lecce. All'epoca ci occupavamo di sequestri di persona, ma non c'era la Sacra corona unita. La Scu è nata dopo, e ce ne siamo accorti quasi subito, ci stavamo occupando del 416 bis, il reato che era stato introdotto nel 1982. E ci siamo resi conto dell'esistenza dell'organizzazione criminale».


Presto, rispetto alla fondazione. Quasi in "real time".
«Sì, è vero. È una peculiarità dell'attività di contrasto. È stata molto veloce. Pensavano forse che non ce ne saremmo accorti, non immaginavano una reazione di quel genere. Invece ce ne siamo resi conto quasi subito».


Tornando alla fondazione, qual è il contesto? Quali sono le vere ragioni?
«Rogoli fu arrestato per l'omicidio di un tabaccaio nel Barese, fu condannato a 23 anni. Capì che avrebbe trascorso in carcere molto tempo. Un bel po' di anni. E allora, probabilmente, cercò il modo di continuare a comandare anche da lì. Con lo scopo, tra l'altro, di liberarsi di Raffaele Cutolo e della sua Nuova Camorra organizzata che stava a tutti col fiato sul collo. C'erano affari importanti, c'era il contrabbando».


Quindi la lettura storica è la seguente: fondata da un brindisino, imperniata sostanzialmente sul core business del contrabbando. Poi rapidamente estesa nel Salento.
«Sì, si affiliarono a Rogoli prima Gianni De Tommasi, poi Mario Tornese. E Rogoli fece anche la sua attività di reclutamento. La Scu brindisina è sempre stata agganciata al contrabbando di sigarette. A Lecce i clan facevano affari principalmente con le estorsioni, specie nel mondo delle discoteche».


E la droga?
«La droga c'è sempre, è sottesa, perché c'è sempre stato l'obbligo di rivolgersi a determinati fornitori accreditati. Ed è redditizia. Ma lo era molto di più il contrabbando».


Il contrabbando è stato sconfitto, la Scu è rimasta.
«È stato sconfitto perché il ministro dell'Interno, Enzo Bianco, inviò l'esercito dopo l'uccisione di due finanzieri e ci fu l'operazione Primavera. Militarizzò l'area: c'erano pattuglie miste di polizia, carabinieri e guardia di finanza ogni cinquanta metri».


E ora?
«Ora siamo alla terza generazione di alcune delle famiglie storiche. Ci sono i figli, non solo i figli, ma anche i nipoti. E materiale ce n'è ancora tanto».


Quindi, secondo lei, l'associazione è viva e vegeta, come lo era agli albori.
«Certo che lo è, ma non sono io a dirlo. Lo raccontano i collaboratori. Il racconto che ne ha fatto Ercole Penna (collaboratore mesagnese, ndr) è da far tremare i polsi».


Qual è il ricordo più intenso che ha degli anni trascorsi "in trincea"?
«Non glielo dico, perché lo racconterò nel mio libro. Voglio raccontare i quarant'anni della Scu, anni di consenso sociale».


Lei lo ha ribadito spesso. Pensa ancora che la mafia, la Sacra corona unita, sia intramontabile?
«Si. Non ho mai creduto a quello che diceva Falcone e cioè che come tutte le cose umane, nasce, cresce si nutre e muore. Trovo invece che la vocazione al male sia connaturata nell'essere umano. Lo ha detto Ercole Penna, la Sacra corona unita è fluida. Si è riframmentata, con una suddivisione dei ruoli».


Più difficile da contrastare per i magistrati. Anche se va rilevato che oggi si può contare su tecnologie che solo fino a un decennio fa non c'erano.
«Noi abbiamo appreso e represso solo una piccola parte. Il contrasto è stato più rigoroso di come loro immaginavano. Ma guai a rinunciare alle intercettazioni. E la collaborazione è fondamentale».


Quindi come la pensa sul "fine pena mai"?
«La collaborazione è fondamentale, ripeto. Lo strumento più efficace nella lotta alla mafia».


E sul 41 bis? Il carcere duro?
«Ha funzionato fino a un certo punto. La norma è buona, ma allo stato dei fatti non ha garantito quel distacco dalle organizzazioni che si sperava agevolasse. Spesso siamo abituati a valutare le norme senza poi verificare quale sia il risultato effettivo, in concreto».


Oggi?
«Il consenso sociale è espresso alla sua massima potenza. È sempre più difficile per il cittadino riconoscere il criminale, individuare l'azione criminale. E quindi, collocarsi dalla parte giusta».
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