Riduzione in schiavitù nelle campagne di Nardò: assoluzioni annullate

Boncuri
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Mercoledì 16 Marzo 2022, 18:49 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 15:08

Annullata la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Lecce che l'8 aprile di tre anni fa aveva assolto imprenditori e “caporali” dall'accusa di avere ridotto in schiavitù giovani impegnati nella raccolta di angurie e pomodori reclutati nelle campagne di Nardò, in contrada Boncuri, fra il 2008 ed il 2011. I giudici della terza sezione penale della Corte di Cassazione hanno stabilito che dovrà farsi un nuovo processo d'appello. Tecnicamente un annullamento con rinvio, quello deciso ieri accogliendo i ricorsi della Procura generale di Lecce (sostituto procuratore Giovanni Gagliotta) , dei lavoratori e la Cigl (avvocatessa Viola Messa), della Regione Puglia (avvocatessa Anna Grazia Maraschio) e dell'associazione Finis Terrae (avvocato Maurizio Scardia).

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L'inchiesta

Punto e a capo, dunque, con un nuovo dibattimento in aula sull'inchiesta denominata Sabr e condotta dal procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone con i carabinieri del Ros  che in primo grado aveva visto la Corte d'Assise (presidente-relatore Roberto Tanisi, a latere la giudice togata Francesca Mariano e la giuria popolare) infliggere 121 anni di reclusione a 13 imputati fra “caporali” ed imprenditori condannati chi a 11 chi a 7 anni di reclusione.  Stiamo parlando di un pezzo di storia giudiziaria ed economica del Salento, caratterizzata dalle proteste dei braccianti, da vertici in Prefettura e dall’esposizione in prima persona del loro sindacalista e bracciante anche lui, Yvan Sagnet.

Le condanne in primo grado

In secondo grado i giudici della Corte d’Assise d’ Appello (presidente Vincenzo Scardia, relatore Carlo Errico, a latere i giudici popolari) avevano stabilito che il “fatto non sussiste” e, dunque, l’assoluzione, dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, costata in primo grado la condanna ad undici anni di reclusione a Pantaleo Latino, 68 anni, di Nardò, ritenuto l’imprenditore che organizzava l’arrivo, la permanenza ed i turni di lavoro dei braccianti; Livio Mandolfo, 56 anni, di Nardò; Giovanni Petrelli, 59 anni, di Carmiano; Meki Adem, 61 anni, sudanese; Yazid Mohamed Ghachir, 53 anni, nato in Algeria, chiamato “Giuseppe l’algerino”; Saeed Abdellah, 35 anni, sudanese; Rouma Ben Tahar Mehdaoui, 47 anni, tunisino; e Nizar Tanja, 44 anni, sudanese.
Assolti anche Marcello Corvo, 60 anni, di Nardò, ed Abdelmalek Aibeche Ben Abderrahma Sanbi Jaquali, 51 anni, tunisino, per i quali in primo grado era stata esclusa l’accusa di riduzione in schiavitù ed erano stati condannati a tre anni di reclusione ed all’interdizione di cinque anni dagli uffici pubblici, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla permanenza irregolare di stranieri, per sfruttarli nel lavoro nei campi.
Condannati per la sola accusa di estorsione, ed assolti dall’associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, Ben Mahmoud Saber Jelassi, 49 anni, tunisino (11 anni in primo grado), il cui soprannome di “ Sabr” diede poi il nome all’inchiesta; ed per Aiaya Ben Bilei Akremi, 35 anni, tunisino.

I risarcimenti annullati

Per tutti gli imputati assolti era stata disposta la nullità del capo di imputazione di estorsione, ossia di avere sfruttato la loro necessità di soggiorno, lavoro, la mancata conoscenza della lingua italiana e l’isolamento a cui sarebbero stati costretti a Boncuri, per costringerli ad orari massacranti e a paghe misere. L’orientamento dei giudici della Corte d’Assise d’ Appello aveva in pratica azzerato i risarcimenti disposti dalla sentenza di primo grado per i sette braccianti costituitisi nel processo (fra i quali Yvan Sagne).

E per i due operai che ne avevano fatto richiesta era stato disposto il versamento di una provvisionale di diecimila euro a testa. 

Le difese

Un nuovo processo d'appello, dunque, con una diversa composizione della Corte d'Appello.  Interesserà gli avvocati difensori Luigi Corvaglia, Fabio Corvino, Vincenzo Perrone, Antonio Palumbo, Francesco Galluccio Mezio, Giuseppe Cozza, Valerio Spigarelli, Nuzzo, Anna Sabato ed Amilcare Tana.

Il presidente Emiliano e l'assessore Maraschio

«È una svolta decisiva del maxi processo "Sabr" che apre un importante spiraglio nella difesa dei diritti e della dignità umana, per cui, come Regione, ci siamo battuti e continueremo a farlo», commenta il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano - Bisogna proseguire sulla strada della legalità – aggiunge – . Il caporalato di oggi non è più quello di una volta e determina ancora un controllo violento del territorio rurale e mette in discussione non solo la vita, ma la dignità dei lavoratori, in particolare dei lavoratori migranti».

«La vicenda, come tutti ricordano –  prosegue l’assessore all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio, che per conto della Regione Puglia presentò ricorso avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, insieme ai legali dei lavoratori coinvolti, della Cgil e alla Procura generale del capoluogo salentino  –, aveva toccato da vicino la comunità pugliese e non solo, portando alla luce, secondo l’accusa, una rete di imprenditori e caporali che avrebbero ridotto in schiavitù lavoratori stagionali impiegati nelle campagne di Boncuri, a Nardò. Lavoratori, per lo più migranti, i quali decisero di ribellarsi, trovando al loro fianco le istituzioni, le organizzazioni sindacali e associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani».

Il processo di primo grado aveva fatto emergere condizioni di schiavitù in cui i lavoratori erano costretti a sottostare, pena la perdita del lavoro: condizioni igieniche a dir poco precarie e insalubri, mezzi di trasporto sovraffollati e giacigli fatiscenti ove passavano la notte. 
 

«Alla sentenza di secondo grado – continua Maraschio –, che aveva cancellato le accuse di caporalato, siamo ricorsi in appello ottenendo l’annullamento e rinvio. La Regione continuerà nell’iter processuale a sostenere la fondatezza dell’impianto accusatorio della Procura della Repubblica di Lecce. Da parte nostra, continueremo a mettere in atto ogni azione e strategia per arginare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro nei campi attraverso interventi che tutelino i diritti dei lavoratori stagionali. Vorrei ricordare, a tal proposito l’ordinanza del sindaco di Nardò e poi estesa dal presidente Emiliano a tutta la Regione, che ha vietato il lavoro nelle ore più esposte al caldo torrido estivo, ma anche l’organizzazione, da parte della Regione, di aree attrezzate per l’ospitalità dei migranti lavoratori. La Puglia deve continuare ad essere  terra d’accoglienza e terra di diritti per tutti».

La posizione dell'associazione Finis Terrae

«Come Associazione Finis Terrae – al fianco dei lavoratori durante lo sciopero dell’agosto 2011 a Nardò e poi parte civile nel processo Sabr iniziato nel maggio 2012– siamo soddisfatti per questa decisione che rimette al centro del dibattimento processuale le persone che hanno denunciato violenze e soprusi all’interno di un consolidato sistema di soggezione e 
sfruttamento, che hanno reclamato i loro diritti con lo sciopero, che hanno avuto il coraggio 
di denunciare e testimoniare», commenta Francesca Zuccaro, Presidente di Finis Terrae. 

«E’ grazie alle denunce e alle rivendicazioni dei braccianti stranieri se viene varato il decreto 
d’urgenza n.138/2011 che introduce all’art.12 il reato di "intermediazione illecita e 
sfruttamento del lavoro". Negli anni seguenti è stato grazie alle lotte e, purtroppo, alle morti 
di altri lavoratori non solo stranieri sfruttati nelle campagne pugliesi, calabresi e dell’Agro 
Pontino che si sono concretizzati importanti strumenti giuridici come la legge sul caporalato 
n.199 del 2016», spiega Valeria Sallustio, membro del direttivo che nel 2010-2011 – con 
Gianluca Nigro- coordinava le attività di Finis Terrae a Masseria Boncuri. 

«La decisione odierna della Corte di Cassazione rende chiara la debolezza della sentenza 
d'appello, che attraverso un artificio giuridico voleva cancellare la triste condizione vissuta dai lavoratori - commenta Nigro - i soprusi e le angherie che i braccianti hanno denunciato 
necessitano, dunque, di una risposta adeguata. E questa decisione della Cassazione pone 
nuove basi per renderlo possibile». 
 

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