Effetto Covid su riciclaggio e usura: aumento record nel Salento

Effetto Covid su riciclaggio e usura: aumento record nel Salento
di Roberta GRASSI
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Venerdì 24 Settembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20:33

Il Covid fiacca le imprese, la malavita organizzata ne approfitta. Il teorema è stato oggetto di un’analisi investigativa approfondita, ma è anche confermato da dati ancora più recenti, relativi al primo semestre dell’anno in corso: nel Salento crescono vorticosamente le operazioni sospette in odore di riciclaggio. E sale il numero delle imprese in sofferenza che corrono il pericolo di finire nella trappola dell’usura. 

Segnalazioni sospette: +35 per cento nei primi sei mesi del 2021

Ed è la conferma che l’illegalità si annida laddove c’è povertà, ma anche in quei tessuti economici e imprenditoriali caratterizzati da numerose imprese, come lo è la provincia di Lecce, talvolta così “giovani” da arrancare in tempi di pandemia più di quanto non possa capitare ad altre, più solide. 
Il rischio riciclaggio, in provincia di Lecce, segna un +55 per cento: sono, infatti, 899 le segnalazioni sospette nei primi sei mesi del 2021. Erano state 579 nello stesso periodo del 2020 e 881 nella seconda parte dell’anno. Una tendenza netta, un trend chiaro che lascia poco spazio a interpretazioni. Dati che sembrano incontrovertibili.
In provincia di Bari l’aumento è più limitato: +21 per cento, con 1.309 segnalazioni rispetto alle 1.079 del primo semestre 2020. A Brindisi +15 per cento, a Taranto +21 per cento. Le statistiche sono state redatte dall’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia. Si basa su una norma che impone ad un’ampia platea di soggetti, costituita da intermediari bancari e finanziari, altri operatori finanziari, professionisti, prestatori di servizi di gioco e altri di portare a conoscenza con una segnalazione le operazioni per le quali «sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa».
Il campanello d’allarme, che non sempre si traduce in una inchiesta o una denuncia ma dà avvio a verifiche mirate, è collegato all’entità e alla natura delle operazioni o ad altre circostanze che risultano meritevoli di approfondimento.

Famiglie e aziende in sofferenza: provincia di Lecce al 17° posto

C'è, poi, la piaga dell'usura. L’altro report contiene cifre interessanti utili a interpretare più concretamente l’assunto della Dia (nella relazione semestrale presentata al Parlamento) secondo cui laddove la crisi attanaglia l’impresa si annidano sacche di delinquenza in grado di specularvi soprattutto dopo la crisi legata al Covid: è una rielaborazione della Cgia di Mestre e fotografa il numero di aziende in sofferenza. Sono 2.254 a Lecce che vale l’1,3 per cento del totale in Italia. Ancor più a Bari (1,8 percento). Molto meno a Brindisi (0,5 percento) e a Taranto (0,8). E, dunque, con il Salento che, nella classifica nazionale, si ritrova al 17° posto su un centinaio di province. Male anche qui.
In questo caso si parla di società non finanziarie e famiglie produttrici che sono state segnalate come insolventi dagli intermediari finanziari alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Una “bollinatura” che, per legge, non consente a queste aziende di accedere ai prestiti erogati dal canale finanziario legale. Pertanto, non potendo beneficiare di liquidità, rischiano, molto più delle altre, di chiudere o di scivolare tra le braccia degli usurai.
E’ proprio lì che i clan fanno affari, come ha argomentato la Dia, riferendosi al territorio salentino, traendo per altro spunto dalle osservazioni del presidente del Tar di Lecce, Antonio Pasca secondo cui la delinquenza organizzata locale ha «da tempo compiuto un salto di qualità, operando in delicati settori dell’attività economico-produttiva attraverso società e prestanome, con interessi prevalentemente concentrati nei settori nei quali si registra un più rilevante flusso di denaro e di risorse economiche, come gli appalti pubblici in particolare nei settori della raccolta e dello smaltimento di rifiuti solidi urbani e della gestione delle discariche – cosiddetta ecomafia, nonché nelle attività finanziarie e di esercizio del credito e nelle attività del settore turistico e della gestione di stabilimenti balneari e delle attività connesse».
Un capitale relazionale che rappresenta, secondo Pasca, «l’humus ideale per l’attecchimento della cosiddetta attività amministrativa collusa, che in taluni casi si concretizza nell’adozione di provvedimenti amministrativi caratterizzati da una intenzionale e concordata illegittimità, al fine di consentire al destinatario un agevole ricorso all’annullamento da parte del giudice amministrativo». 
Una visione imprenditoriale e affaristica, insomma, dei business criminali che si riscontra nelle organizzazioni malavitose sempre più interessate ai dinamici settori dell’economia. Ciò accade perché c’è fermento, nascono nuove aziende, si esplorano percorsi imprenditoriali innovativi. 
Si punta sul turismo e su tutto ciò che gli è connesso.

Ma anche perché in tempi di emergenza sanitaria, la situazione si è fatta più complicata, con chiusure e ritardi nei ristori. Le facilitazioni nell’accesso ai contributi, hanno più volte ribadito gli esperti, sono parecchio attrattive per la criminalità in cerca di consenso sociale che fa festa laddove c’è lo stato di bisogno. E riesce, rapidamente, a cambiare pelle e a dirottare i propri investimenti nei settori più produttivi. Camaleontica, come non mai.

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