Proroghe ai lidi, il caso a Roma: 150 balneari aspettano i giudici

Tensione alta a Roma per la plenaria del Consiglio di Stato

Proroghe ai lidi, il caso a Roma: 150 balneari aspettano i giudici
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Mercoledì 20 Ottobre 2021, 07:37 - Ultimo aggiornamento: 17:48

La tensione oggi a Roma, a piazza Capo di Ferro, sarà alta. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato viene convocata solo “per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero – recita l’articolo 99 del Codice di procedura amministrativo – per dirimere contrasti giurisprudenziali”. E il braccio di ferro - politico, giuridico e amministrativo - sulla scelta di procedere alle gare pubbliche per l’assegnazione delle spiagge (dando, quindi, attuazione a quanto previsto dalla Direttiva europea Bolkestein) ha portato il presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, a scegliere la strada della Plenaria. Con oltre 150 balneari salentino col fiato sospeso.

Il nodo delle proroghe


L’intreccio da sbrogliare sono le proroghe delle concessioni demaniali dei lidi con il tempo diventate un groviglio di tesi e antitesi che hanno appassionato i giuristi ma anche messo sulla graticola gli imprenditori del settore, soprattutto in una terra come il Salento che ha scommesso molti anni fa sul turismo balneare, sull’offerta di servizi che – va riconosciuto – si sono rivelati l’incipit di quel turismo di qualità (le masserie, l’enogastronomia, l’arte e i piccoli borghi) legato al territorio. E che è settore trainante della nostra economia. 
A Palazzo Spada si confronteranno due visioni diverse della gestione delle spiagge, ma anche due visioni diverse delle fonti di diritto e dei poteri dello Stato. Nel mezzo il legislatore italiano che nel 2010 recepisce sic et simpliciter la Direttiva Bolkestein del 2006 (che prevede appunto le gare pubbliche per l’assegnazione a scopo economico di beni e servizi la cui titolarità è dello Stato membro), salvo dover fare i conti per ben due volte a distanza di pochi mesi con la messa in mora da parte della Commissione europea e una procedura d’infrazione costosissima evitata per un soffio. Già. Perché il primo richiamo arriva nel 2009: sotto accusa il cosiddetto diritto di insistenza, ossia il diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo allora previsto nel Codice della navigazione. L’Italia si impegna a modificare quella disposizione e lo fa. Il diritto di insistenza non esiste più da allora. Ma con la legge 25 del febbraio 2010 proroga tutte le concessioni fino al 31 dicembre 2015. La Commissione europea prende carta e penna e scrive: “Questi rinvii successivi privano di ogni effetto utile il testo del decreto legge che correttamente mirava alla messa in conformità della legislazione italiana contestata con il diritto dell’Unione europea, eliminando la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni. 

La legge attuale


Il testo della legge nella redazione attuale prevede chiaramente il rinnovo automatico per le concessioni che arrivano in scadenza. Di conseguenza la Commissione europea ritiene che la Repubblica Italiana abbia mancato agli obblighi che su essa impongono in virtù della Direttiva Bolkestein e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”. L’Italia evita anche in quell’occasione il concretizzarsi della maxi multa della procedura d’infrazione garantendo l’impegno a scrivere una Riforma del settore delle concessioni e della gestione delle proprie coste ritenuta indispensabile per procedere alle gare pubbliche e ad una sorta di pianificazione. L’Unione europea si convince a fare marcia indietro. Ma, senza che di quella riforma ci sia mai stata traccia, l’Italia proroga ancora le concessioni demaniali al 2020, e poi al 2033. Nel 2016 intanto la Corte di Giustizia si esprime dichiarando di fatto ineludibili le gare per l’assegnazione delle spiagge. Successivamente anche la giurisprudenza italiana (Cassazione penale, Consiglio di Stato con numerose pronunce, decine di Tar, la Corte Costituzionale) ha cominciato a richiamare l’attenzione sul rispetto non solo e non tanto del diritto unionale ma anche di quel principio di libera concorrenza tutelato dalla nostra Costituzione. Ma a mandare in tilt l’intero sistema di autorizzazioni è stata una sentenza di Palazzo Spada del novembre 2019. Due i passaggi che hanno bloccato le penne dei dirigenti comunali: “La proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento”, il primo, “la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto comunitario costituisce un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni, e quindi anche per l’apparato amministrativo e i suoi funzionari”, il secondo. 
Ma su questo, mentre dai comuni si negavano le proroghe, si è alzata la voce del Tar di Lecce che ha ricordato che la disapplicazione di una norma compete unicamente al giudice e che comunque la disapplicazione comporta l’applicazione di un’altra norma.

Quella sorta di “fermo biologico” era una violazione intollerabile in un sistema di diritto. E su questo si esprimerà la Plenaria. Forse. Salvo rinvio alla Corte di Giustizia europea: un’opzione da non escludere. In gioco l’equilibrio dei poteri dello Stato e una parte consistente della nostra economia. 

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