Prof di Unisalento nella “black list” degli hacker Isis

Prof di Unisalento nella “black list” degli hacker Isis
di Claudio TADICINI
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Mercoledì 6 Luglio 2016, 08:35 - Ultimo aggiornamento: 16:16
Un professore dell’Università del Salento nella “kill list” stilata dall’Isis. In una delle ultime “liste della morte” diffuse ai propri seguaci dagli hacker dello “United Cyber Caliphate”, un gruppo di esperti informatici simpatizzanti dello Stato Islamico, infatti, tra i nomi di oltre 4.500 figura anche quello di un docente dell’Ateneo salentino. Nell’elenco diffuso dagli hacker del Califfato sono inseriti nome, professione, numero di telefono e indirizzo di posta del docente che Quotidiano sceglie di non pubblicare a tutela dell’interessato.
L’appello che viene lanciato ai “lupi solitari” è perentorio e agghiacciante: «Uccideteli immediatamente e con violenza, ovunque si trovino».
Il nome del docente salentino compare nella black list contenente i nomi di 4.681 persone sparse in tutto il mondo. Gran parte di esse vivono negli Stati Uniti d’America. Gli italiani sono 29. Oltre al professore leccese, nell’elenco vi sono i nomi di undici persone residenti a Milano; sei residenti a Roma; due a Padova, una rispettivamente nelle città di Torino, Bologna, Benevento, Asti, Lucca, Sesto San Giovanni (Milano), Cassina de’ Pecchi (Milano), Frascati (Roma) e Berbenno di Valtellina (Sondrio).

Lui, il docente di Unisalento finito nell’elenco, al telefono risponde sconcertato: «Sinceramente cado dalle nuvole non vedo alcun motivo per cui il mio nome possa comparire in una lista del genere. Io non c’entro nulla con questa storia dell’Isis. È probabile che qualcuno, nel realizzare quella lista anni fa, abbia attinto in modo indiscriminato dal web dove il mio nome compare nei motori di ricerca. Ho l’impressione che sia stato realizzato un mix di dati. Faccio soltanto il mio lavoro da anni, onestamente. Non capisco proprio come possa essere diventato, per così dire, un bersaglio. Ad oggi non sono stato contattato né dalla polizia né da nessun altro».

I bersagli indicati nella “kill list” non hanno alcun legame con i terroristi. Si tratta di persone che svolgono un lavoro comune finite nella lista nera diffusa dal gruppo di fanatici informatici, sostenitori del Califfato. Accanto alla sfilza di nomi e cognomi degli “infedeli”, sono indicate le loro professioni, il luogo in cui le esercitano, l’indirizzo di posta elettronica, il numero di telefono e ovviamente la città in cui si trovano.
Numerosi i Paesi in cui gli estremisti sono stati invitati a colpire. Oltre all’Italia e agli Usa, figurano anche Francia, Belgio, Spagna, Germania, Grecia, Gran Bretagna, Austria, Svizzera, Portogallo, Russia, Svezia, Cina, India, Israele, Corea, Corea del Sud. E ancora Olanda, Danimarca, Nuova Zelanda, Cipro, Filippine, Messico e tante altre nazioni, compreso lo stato caraibico di Trinidad e Tobago.

La “lista della morte” - che ha inevitabilmente creato scompiglio in tutto il mondo - è stata diffusa alcune settimane fa dagli hacker Ucc sul proprio canale Telegram (applicazione di messaggistica criptata, corredata da una vignetta in cui compaiono un combattente col volto coperto, la bandiera nera dell'Isis sullo sfondo e frasi che incitano i “lupi solitari” a entrare in azione: “kill them immediatily”, “kill them strongly”, con riferimento ai nomi dell’elenco. Ammazzarli immediatamente e nella maniera più violenta.
Ma c’è dell’altro. Alla notizia della divulgazione di questa “kill list” - circolante da qualche giorno su quotidiani nazionali ed europei - se ne aggiunge un’altra: gli hackers pro-Isis, infatti, avrebbero “riciclato” la lista, prelevandola da un database pubblico, presente sul web almeno dal 1999.

A rivelarlo sono stati gli esperti informatici della “Vocativ”, una società americana di media e tecnologia, specializzata in attività che riguardano il cosiddetto “lato oscuro del web”. Gli statunitensi, infatti, riusciti a carpire la lista diffusa dai seguaci delle bandiere nere, hanno scoperto che lo stesso elenco – contenuto in un file Excel – era già presente in alcuni archivi elettronici disponibili online da oltre quindici anni. Persino su LinkedIn. È stato sufficiente cercare su Internet per qualche ora elenco, stessi nominativi, ma su un classico foglio elettronico di colore bianco, anziché nero come nel “file della morte” diffuso agli “only wolves”, ossia ai lupi solitari. Propagande di morte e terrore partite da alcuni esperti informatici. Ma che, in questo caso, sarebbero ricorsi al più classico dei “copia e incolla”.

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