"Il Comune di Parabita non è mafioso": il Tar annulla lo scioglimento

"Il Comune di Parabita non è mafioso": il Tar annulla lo scioglimento
di Daniela Palma
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Giovedì 22 Marzo 2018, 11:50 - Ultimo aggiornamento: 23 Marzo, 12:23
Annullato lo scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Parabita. Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dall’amministrazione comunale colpita con decreto del presidente della Repubblica dopo la richiesta di scioglimento avanzata dal prefetto di Lecce, Claudio Palomba. Il ricorso era stato proposto dal sindaco, Alfredo Cacciapaglia, dal vicesindaco Sonia Cataldo, dall’assessore al Lavori Pubblici Biagio Coi, dal presidente del consiglio comunale Pierluigi Leopizzi e dai consiglieri Gianluigi Grasso e Tiziano Laterza, assistiti dagli avvocati Pietro Quinto e Luciano Ancora.

In particolare, i giudici del Tar fanno riferimento alla vicenda del vicesindaco Giuseppe Provenzano finito sotto accusa con l'operazione "Coltura", a ottobre 2015. "Nella proposta di scioglimento del ministro dell’Interno viene indicato come “veicolo consapevole” per favorire gli interessi criminali, sulla base – come evidenziato nella stessa ordinanza di custodia cautelare del dicembre 2015 – di un vero e proprio patto di scambio politico-mafioso, in forza del quale l’amministratore, pur non essendo inserito organicamente nel sodalizio, si era mostrato a completa disposizione dello stesso. Fondandosi sul richiamo alle indagini della magistratura inquirente, poi, la proposta in questione poneva in evidenza la disponibilità di tale soggetto nei confronti del “clan” locale, dandosi da fare nel favorire assunzioni di sodali, migliorando le condizioni lavorative di associati assunti da ditte operanti nell’ambito di appalti pubblici, fungendo da “factotum” amministrativo del “clan” in questione. Su tale circostanza, la proposta faceva riferimento all’assunzione “già nel gennaio 2010, poco prima dell’insediamento del sindaco al suo primo mandato” del vertice della locale. organizzazione criminale e di due suoi sodali, con stabilizzazione del rapporto di lavoro nel corso del 2013. Il Collegio ritiene sul punto di osservare che emerge il coinvolgimento diretto del solo vicesindaco, già assessore, e per eventi tutti anteriori alla data delle nuove elezioni del 2015, per cui l’attenzione dell’Amministrazione procedente non si era soffermata su eventi riconducibili alla consiliatura sciolta, ma ad eventi precedenti che riguardavano per lo più, semmai, la precedente, sia pure poi confermata politicamente dagli elettori. Risultavano poi richiamata sempre e solo la figura del vicesindaco".

Ma non finisce qui. La bocciatura dei giudici del Tar Lazio nei confronti delle conclusioni del prefetto Palomba, per quanto riguarda la figura di Provenzano, va anche oltre. "Nella stessa proposta prefettizia si legge nella sentenza - è indicato che il più votato nelle elezioni del 2015 era stato il vicesindaco che aveva acquisito il maggior numero di voti nella sezione elettorale ove insistono alloggi di edilizia residenziale pubblica e alla quale appartengono esponenti della consorteria comunale, ma anche che costui si era subito dimesso un solo mese dopo e che la giunta era stata “azzerata” nell’ottobre 2015 con la riconferma dello stesso vicesindaco, poi arrestato nel dicembre. Su tale profilo il Collegio osserva che non appare approfondito nella relazione come le immediate dimissioni del vicesindaco si contemperino con la sua volontà di asservirsi al “clan” e come costui abbia avuto comunque modo di influire sull’operato della giunta, se arrestato nel dicembre 2015". 

I giudici del Tar, pur sottolineando i comportamenti di Provenzano, tengono fuori gli altri amministratori del Comune di Parabita dall'intreccio dei rapporti con la criminalità. "Se i legami con la malavita sono evidenziati in misura diretta solo per il vicesindaco - si legge nella sentenza - e se questi, già dimessosi un mese dopo le elezioni, rinominato in giunta nell’ottobre 2015 e poi arrestato nel dicembre 2015, non è stato in grado di influenzare l’operato dell’amministrazione comunale, sarebbe stato necessario individuare altri elementi concreti, univoci e rilevanti per certificare che gli esponenti “superstiti” avessero continuato l’opera in favore del “clan” ma ciò, a un approfondimento dei fatti, non risulta evidente". Dunque, non ci sarebbero i presupposti per definire "mafioso" il Comune di Parabita.

"Giustizia è fatta". E' il  primo commento dell'avvocato Pietro Quinto che, insieme con l'avvocato Luciano Ancora, ha difeso il sindaco Cacciapaglia con gli altri consiglieri. "Abbiamo documentato ed evidenziato - dice Quinto - i vizi del procedimento derivanti dal forzato collegamento tra i fatti oggetto delle indagini penali riguardanti un’ampia zona del territorio del Sud Salento e le vicende amministrative del Comune, senza che fossero individuati atti e procedimenti che attestassero un condizionamento della complessiva attività amministrativa. In particolare, la difesa di Cacciapaglia ha dimostrato che le specifiche contestazioni su atti e vicende amministrative erano prive di fondamento perché non vi erano stati comportamenti omissivi e commissivi del sindaco e degli amministratori censurabili in termini di legittimità amministrativa.  Perché lo Stato possa intervenire sciogliendo il Consiglio Comunale devono sussistere elementi certi e indiscutibili che dimostrino come la gestione amministrativa dell’Ente sia effettivamente inquinata o possa esserlo per effetto di infiltrazioni malavitose. Nel caso di Parabita non solo non vi era stata questa dimostrazione, ma si era disconosciuto il ruolo di alta professionalità svolto dal sindaco Cacciapaglia, professionista affermato eletto ben 2 volte alla carica sindacale e nei confronti del quale alcun addebito era stato mai sollevato in qualsiasi sede. Sotto il profilo strettamente giuridico - continua l’avvocato Quinto – le censure sollevate dalla Commissione di indagine su singole vicende amministrative si erano dimostrate del tutto insussistenti, come ad esempio la vicenda del mancato sgombero di due abitazioni di case popolari, dimenticando che la competenza non appartiene al Comune bensì all’istituto gestore degli alloggi, e che ancora oggi, a distanza di un anno dall’insediamento dei Commissari, lo sgombero non è neppure avvenuto".

Sotto i riflettori anche la vicenda della gestione del servizio dei rifiuti. Si è dimostrato in giudizio – conclude il legale - che la relazione della Commissione aveva ignorato del tutto le iniziative assunte dal sindaco Cacciapaglia per sollecitare l’Ambito Ottimale comprendente il territorio del Comune di Parabita (ARO 9) affinchè venisse pubblicato il bando per l’affidamento del servizio. Ed anzi, proprio a seguito delle diffide ed iniziative del sindaco Cacciapaglia era intervenuta l’Anac per sollecitare i comuni dell’Aro 9 a indire la gara d’appalto. Circostanza questa che a tutt’oggi non ha trovato una soluzione definitiva".

 
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