Operazioni sospette e riciclaggio, il procuratore De Donno: «Affinate le tecniche di investigazione»

Antonio De Donno, capo della Procura di Brindisi, già componente della Direzione distrettuale antimafia
Antonio De Donno, capo della Procura di Brindisi, già componente della Direzione distrettuale antimafia
di Mauro BORTONE
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Martedì 1 Febbraio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 14:23

Il riciclaggio come fenomeno ben più complesso e articolato rispetto alla fotografia che emerge dal report statistico dell’Uif, l’Unità d’Informazione finanziaria per l’Italia, sulla crescita delle segnalazioni sospette, e da leggere oltre la freddezza dei numeri che non coincidono necessariamente, nell’elaborazione dei dati, con l’incremento di reati effettivamente verificati, ma confermano la qualità dei controlli messi in campo e la maggiore efficacia dell’analisi investigativa. È nella sostanza quanto sottolinea il capo della Procura di Brindisi, Antonio De Donno. 

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Procuratore, nonostante l’impegno sul fronte della lotta al riciclaggio, i dati che emergono sono in costante aumento: se si fa tanto, anche in termini di sensibilizzazione sul tema, perché peggiorano?
«La premessa da cui partire è che parliamo di segnalazioni e non di reati accertati. La segnalazione si muove da una logica argomentata ma di sospetto: è tutta, quindi, da verificare. In seconda istanza, parlare di riciclaggio in senso tradizionale è restrittivo per la complessità del fenomeno: grazie alle misure di prevenzione patrimoniale, a quelle di sicurezza allargate, alle confische, ovvero a tutta una serie di presidi che vanno a colpire i traffici illeciti e i proventi che ne derivano, posso dire che ciò che è cambiato è la capacità investigativa: noi investigatori, in sostanza, abbiamo affinato gli strumenti per inserirci in questo settore e lo testimoniano le tante operazioni concluse con successo». 


Se volessimo sintetizzare il concetto, le segnalazioni aumentano perché c’è più attenzione al fenomeno? 
«È il sistema che è molto più efficiente. I dati aumentano ma non significa in automatico che cresca l’attività di riciclaggio, che comunque esiste in un Paese di mafia ma che è difficile quantificare: c’è di sicuro una maggiore attenzione, una specializzazione delle forze di polizia, con risultati in termini di volume di attività svolte.

E il meccanismo di intercettazioni delle operazioni sospette oggi è molto più efficace che nel passato». 


Qual era la situazione di partenza?
«Agli inizi degli anni Novanta usavamo meccanismi un po’ emulati di stile anglosassone, che non erano ancora particolarmente rodati ed efficaci. E siamo arrivati a un sistema di elaborazione, di captazione, di segnalazione e valutazione che coinvolge vari organismi. C’è stata un’evoluzione importante e protocolli aggiornati, specialmente negli ultimi dieci anni, che hanno valorizzato moltissimo proprio la ricerca, l’approfondimento dell’operazione sospetta. Trent’anni fa, siamo partiti con 150 segnalazioni l’anno, un dato davvero poco significativo. Non è un caso che questa attività venga presieduta dalle strutture dell’antimafia, perché la parte più voluminosa e significativa dei traffici in questione è riconducibile all’organizzazione mafiosa, ma su questo profilo non ho molto da dire, non essendo nella Dda da cinque anni». 


Veniamo da un biennio segnato dal Covid: l’emergenza sanitaria ha inciso sui numeri di queste statistiche e sul fenomeno? 
«Sui traffici illeciti penso di poter affermare che il Covid abbia avuto un peso relativo: se vogliamo andare nel sottile forse ha ridotto i reati di tipo predatorio, quelli minori. I reati massivi più consistenti, che sono i traffici di stupefacenti transfrontalieri, non hanno conosciuto un rallentamento: è lì il grosso del problema, nella valutazione dei proventi di quei traffici e nelle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose nel sistema economico, basti pensare alla capacità pervasiva della ‘Ndrangheta nel Nord Italia. Sotto questo aspetto, non abbiamo ancora sistemi perfezionati, anche per ragioni culturali, prudenziali e di garanzia, come, ad esempio, quello americano, ma seguiamo un profilo diverso in uno schema più classico, concentrato sull’analisi del fenomeno riciclaggio e sulle acquisizioni patrimoniali». 


Un vecchio adagio di Giovanni Falcone segnalava l’importanza di seguire i soldi per definire la mappa degli interessi criminali comuni e delle infiltrazioni mafiose nell’economia. A proposito di sistemi in evoluzione, che attenzione c’è al tema del Bitcoin, la criptovaluta che prende sempre più piede a livello internazionale? 
«L’analisi valutaria può essere strumento per aprire squarci sul reato di riciclaggio. C’è sulla questione una forte specializzazione in atto su impulso della Direzione Nazionale Antimafia, che in questa materia non è rimasta affatto inerte: parliamo ancora di un settore molto evanescente e variabile che, però, è sotto osservazione. Posso, però, assicurare che conosciamo gli strumenti e i meccanismi operativi». 


Analizzando i dati dei territori e, in particolare quelli di Lecce e Foggia, si ha la sensazione che alcune zone possano soffrire più di altre il fenomeno. È davvero così? 
«Anche qui parliamo sempre di segnalazioni, ovvero di attenzione a operazioni commesse sul territorio che potrebbero essere sospette. Che siano in aumento può significare varie cose: che ci sia maggiore attenzione alla questione, che ci sia stato un particolare numero di operazioni che presentano le caratteristiche della normativa antiriciclaggio, o che, non lo escludo, il fenomeno sia effettivamente in aumento. Parliamo di una logica anticipatoria, non di riciclaggio effettivo: il rischio non si esclude, ma bisogna comprendere il ritorno effettivo in che termini sia». 


Ma nel concreto esistono azioni che possano ulteriormente tornare utili per contrastare il rischio di reato? 
«Il meccanismo in realtà funziona perché è codificato, non è affidato alla spontaneità della segnalazione. È regolato da legge specifiche e dalla normativa antiriciclaggio con tutta una serie di disposizioni e regolamenti attuativi, che stabiliscono i soggetti che hanno una posizione di garanzia nei confronti delle operazioni sospette e l’obbligo di segnalazione. Vi è un presidio che è dato da un contesto normativo molto complesso e articolato: la spontaneità della segnalazione è una rarità, ma non conta così tanto. Conta, invece, verificare se questo presidio stia dando dei frutti e la sensazione che ne ricaviamo anche da questi dati è che stia funzionando».
 

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