Antonio De Marco non è pentito di avere ammazzato Daniele De Santis ed Eleonora Manta. Anche perché convinto di ricevere come ricompensa la tanto agognata relazione con una donna: «Come se dopo avere fatto quello che ho fatto sarebbe cambiato tutto», le parole riferite ai suoi psichiatri forensi Francesco Carabellese, Elio Serra e Michele Bruno durante i colloqui in carcere. «Pensavo che sul momento sarei stato soddisfatto, già subito dopo averlo fatto... come se le cose sarebbero cambiate... che sarebbe arrivata una ragazza... ci sarebbe stata una ricompensa, che avrei avuto una ragazza... che mi avrebbe fatto avere Dio, l'universo». L'assassino reconfesso che scrisse sul diario di volere uccidere perché non si sentiva amato, perché nessuna ragazza lo aveva voluto come compagno. Il motivo scatenante della strage della sera del 21 settembre nella casa al primo piano di via Montello, al 9. E le 79 coltellate tirate con una ferocia inaudita? Il timore di fallire fondato sulla scarsa autostima.
Dicono questo i consulenti nella consulenza allegata dagli avvocati difensori Giovanni Bellisario e Andrea Starace alla richiesta di tenere una perizia psichiatrica sui livelli di responsabilità penale di De Marco in rapporto a un «quadro psicopatologico complesso, grave e composito». Richiesta che approderà sul tavolo del presidente della Corte d'Assise, Pietro Baffa, dopo che il giudice per le indagini preliminari Michele Toriello l'ha dichiarata inammissibile per assenza del presupposto del pericolo di perdere la prova ed ha fissato la prima udienza del processo al 18 febbraio.
Dovrà dire, in altre parole quella consulenza collegiale, se De Marco fosse consapevole di cosa stesse per fare quando pianificò e quando uccise i suoi ex coinquilini, lui 33 anni, di Lecce, arbitro di calcio e lei 30 anni, di Seclì, funzionaria Inps a Brindisi.
Distante anche dal contenuto delle 36 pagine del diario fatto ritrovare nella stanza presa in affitto in via Fleminng per continuare a frequentare le lezioni del secondo anno del corso di Scienze infermieristiche nell'ospedale Vito Fazzi: ogni tentativo di rivisitazione critica è andato a cozzare con un atteggiamento di totale chiusura. Per mettersi al riparo dal confronto doloroso e frustrante con la sua inadeguatezza, le conclusioni degli psichiatri forensi. Da quel mondo perfetto costruito nella solitudine della sua stanza e dei suoi pensieri.
In questo ambito viene collocata la ferocia dimostrata nell'infliggere 41 coltellate ad Eleonora e 38 a Daniele, ignorando le richieste di fermarsi. «Lì in quei diari che possiamo trovare una traccia di quanto profondo sia stato il distacco vitale dalla realtà», ancora un passaggio della consulenza di parte. «Le due ignare e sfortunate vittime avrebbero dovuto essere solo le prime di una serie di analoghe vittime. Lo sconcerto di essere stato anche in questo inefficace o maldestro, come per tutto il resto della sua vita fino ad allora, probabilmente deve essere stata una caduta talmente insopportabile nell'autostima psicotica, da fare precipitare gli eventi. Forse è proprio questa crisi paurosa che può attribuirsi la ferocia della condotta delittuosa. Non ad alcuna programmazione precedente, non ad un qualche intento sessualizzato o di controllo sadico».