A ricorrere in Cassazione contro la sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale della Puglia e recepita dalla Corte di Appello di Lecce nel 2017, era stato il procuratore generale Francesca Cerioni, magistrato specializzata in diritto della famiglia e delle persone.
La Cerioni ha sostenuto che la decisione del Tribunale ecclesiastico fosse “discriminatoria” della “libertà sessuale e affettiva”, della donna, Anna P. considerata, come affetta da “malattia psichica”. Secondo i giudici ecclesiastici, infatti, la donna - che al processo risultò contumace - avrebbe "similuato" durante l'intero matrimonio. Nella sentenza - secondo la Cerione, la donna sarebbe stata “biasimata a causa del suo orientamento sessuale" e per questo considerata “affetta da disturbo grave della personalità”.
Secondo il procuratore generale, recepire tale sentenza avrebbe significato violare il limite dell’ordine pubblico interno e internazionale, con particolare riferimento al diritto fondamentale di vivere liberamente la vita sessuale ed affettiva sancito dalla Costituzione, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Nel ricorso alla sentenza presentato alla procura generale della Cassazione si è sostenuta la perdurante validità delle nozze, in quanto si erano protratte per dieci anni al momento del pronuncia da parte del Tribunale Ecclesiastico. Un arco temporale, questo che nella nostra giurisprudenza supera di gran lunga i tre anni entro i quali il matrimonio può essere annullato. Secondo la procura quindi «l’unica ragione fondante la decisione del giudice ecclesiastico, che si muove tra giudizio e pregiudizio, è l’omosessualità». Ma i giudici hanno rigettato il ricorso. Ora il matrimonio fra Antonio M. e Anna P. è annullato.