Mille euro al mese di stipendio: Salento in coda alla classifica

Mille euro al mese di stipendio: Salento in coda alla classifica
di Pierpaolo SPADA
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Martedì 3 Marzo 2020, 10:06 - Ultimo aggiornamento: 10:09

Mille euro al mese. Non sono pochi, direbbero in tanti. E, in effetti, non sono molti di più quelli che, alle dipendenze di imprese private, in questa provincia, incassano stipendi d'importo superiore.
Salentini, dunque, sempre più poveri? A giudicare dall'elaborazione effettuata dal Servizio Lavoro Coesione e Territorio della Uil di Lecce, con riferimento al 2018, pare proprio di sì. Di sicuro, nel contesto regionale sono i meno ricchi: i dipendenti di aziende private a Taranto percepiscono, infatti, 1.269 euro in media, quelli baresi 1.236 euro, quelli brindisini 1.158 euro e quelli foggiani 1.087 euro.

E in Italia? Solo nelle province di Cosenza (995 euro), Nuoro (990 euro), Trapani (988 euro), Crotone (987 euro) e Vibo Valentia (886 euro) i dipendenti delle aziende private guadagnano meno di quelli salentini. Si tratta di alcune delle zone più arretrate per Pil e indici occupazionali. La provincia di Lecce, dunque, è al sestultimo posto nella classifica delle retribuzioni per chi lavora nel privato.

E pensare che andava pure peggio nel 2017, quando i dipendenti salentini guadagnavano 5 euro in meno (con una media mensile 995 euro).
Un'altra vita, rispetto a quella riservata ai dipendenti delle aziende private al Nord. A Milano guadagnano in media 2.168 euro, a Bologna 1.894, a Parma 1.874. E così, a Modena, Lecco, Reggio Emilia, Varese, Trieste, Torino, Bergamo, Lodi, Vicenza, Novara, Genova e Treviso.

Nulla di nuovo, per chi in questa terra ci abita e lavora, cercando di soddisfare le sue aspettative, di inseguire i suoi sogni facendo spesso leva sulla sua buona volontà e fiducia in un futuro che, purtroppo, in questi termini (stipendi), non cambia. Nonostante la fuga di migliaia di giovani e meno giovani, sono sempre più numerosi. Rispetto al 2017, nel 2018, nel Salento, si contano, infatti, più lavoratori alle dipendenti di aziende private: +2,9%, in tutto 147mila. Solo a Brindisi la crescita è più sostenuta (+3,1). A Bari si ferma al +2,8, a Taranto al +2,6 per cento.

Si potrebbe ragionare a lungo su questo triste capitolo che continua a interessare la provincia di Lecce e, purtroppo, non da oggi, cercando di individuare uno dopo l'altro gli ostacoli che impediscono a una larghissima parte di cittadini di non percepire uno stipendio in grado di assicurare una sopravvivenza dignitosa, come la Costituzione prevede che avvenga. L'analisi del sindacato ne rileva certamente alcuni.

«È un quadro sconfortante quello che emerge per la nostra provincia. Parliamo di un guadagno medio di appena mille euro al mese, inferiore di ben 166 euro rispetto alla media pugliese e tra i più bassi in Italia nel 2018. A penalizzare ulteriormente le retribuzioni medie spiega il segretario generale di Uil Lecce, Salvatore Giannetto è anche la forte componente di lavoro part time nel settore privato, che in Puglia incide per il 46% e che riduce sensibilmente le giornate di lavoro: in tutta la nostra regione, nel 2018, risultano attivi 416.977 lavoratori full time, contro 347.628 part time».

Il sindacalista osserva i dati del report e ne ricava alcuni elementi di criticità che appesantiscono, a suo modo di vedere, un bilancio già molto deficitario. Giannetto parla di elementi critici divenuti strutturali nel mercato del lavoro di questa provincia, così come rilevato dalla segretaria confederale Ivana Veronese: «Parliamo dice il segretario dell'evidente divario retributivo di genere a parità di qualifica ed una bassissima presenza femminile nelle qualifiche più alte.

Un Mezzogiorno caratterizzato da retribuzioni medie mensili più basse rispetto al Centro Nord. Sono temi, questi afferma Salvatore Giannetto su cui occorrerà continuare a lavorare con costanza: non bastano più le buone intenzioni, servono misure concrete che incentivino la buona e stabile occupazione, cercando di ridurre, fino ad eleminare, le disparità di genere e territoriali che purtroppo sono ancora marcate».

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