Mauro venduto o ucciso dall'amico di famiglia? La rabbia della madre: «In casa con noi per anni, ora quell'uomo dica la verità»

Mauro venduto o ucciso dall'amico di famiglia? La rabbia della madre: «In casa con noi per anni, ora quell'uomo dica la verità»
di Attilio PALMA
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Giovedì 9 Luglio 2020, 09:16 - Ultimo aggiornamento: 13:57

«Io spero solo che non l'abbiano ucciso...». Il telefono cellulare di Bianca Colaianni, la madre del piccolo Mauro Romano, scomparso da Racale nel 1977 all'età di 7 anni e di cui non si è saputo più nulla, scotta. Scotta perché la storia dello zio, del presunto amico di famiglia con cui il bambino avrebbe avuto un rapporto confidenziale tale da considerarlo un parente stretto, il fratello di uno dei suoi genitori, potrebbe rappresentare una svolta importante, forse decisiva per arrivare alla verità a distanza di 43 anni.

Svolta nel caso del piccolo Mauro Romano, scomparso 43 anni fa: individuato il presunto sequestratore. Il bambino lo chiamava “zio”

C'è rabbia e rammarico nella voce della signora Bianca. «Quest'uomo ha frequentato casa nostra dopo aver rapito nostro figlio. Sapeva tutto - ha rivelato ieri al programma Chi l'ha visto? -. E nonostante questo, è venuto qui da noi come se nulla fosse. Speriamo che adesso si metta una mano sulla coscienza, speriamo che abbia un cuore e dica la verità». Sull'ipotesi che il figlioletto possa essere stato venduto o ceduto all'estero la risposta può essere una soltanto: «È una possibilità di cui si è parlato - aggiunge - e vorrebbe dire che Mauro è ancora vivo. È questa la nostra speranza, ovvero che non l'abbiamo ucciso e quindi ora sia una persona adulta e abiti da qualche parte. Se non vedo le ossa oppure se non c'è una confessione chiara e definitiva, noi continuiamo a credere che possa essere ancora vivo».

A suo dire, non ricorda di una persona alla quale Mauro si rivolgeva chiamandolo zio e con il quale potrebbe essersi allontanato in auto il giorno della sua scomparsa: «Non mi pare ci fosse, che io sappia. Ma speriamo davvero che questa sia la pista giusta che ci conduca a capire una volta per tutte che fine abbia fatto mio figlio».

Bianca Colaianni era tornata a parlare qualche mese fa dopo l'arresto dell'anziano 69enne di Taviano e le ricerche di eventuali resti effettuate da vigili del fuoco, speleologi e carabinieri in un pozzo in località Fichelle, una traversa di via Regina Margherita, quando si era profilata la pista sulla pedopornografia. E aveva anche descritto tutto il dolore che la scuote ogni giorno: «Qui si piange sempre - dice - tutti i giorni. Piango in silenzio, quando nessuno mi può vedere, né mio marito, né i miei figli. Non voglio che nessuno veda la mia sofferenza. Ma non ce la faccio più a vivere in questo modo, con un pensiero fisso nella mia testa, non conoscere la verità e la sorte di Mauro».

La donna aveva anche ricordato quel maledetto giorno della scomparsa del piccolo: «L'avevo lasciato a casa dei miei suoceri. Mi avevano avvisato che non lo trovavano più, ed ero convinta che lo avremmo ritrovato, che fosse in giro a giocare, e invece. Le forze dell'ordine accusavano la famiglia, accusavano noi genitori. Dicevano che mio padre aveva ammazzato mio figlio, e che mia madre lo aveva sepolto. Io e mio marito siamo andati poi a vivere in Svizzera, perché non potevo più restare in Puglia. Ora siamo qui ad aspettare che la verità venga finalmente alla luce».

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