«Nel carcere di Trani, visuale stupenda»: due magistrati condannati per minacce ai testimoni

«Nel carcere di Trani, visuale stupenda»: due magistrati condannati per minacce ai testimoni
di Erasmo MARINAZZO
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Sabato 16 Novembre 2019, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 13:16
Minacce di farli finire nel carcere di Trani «dove c'è una visuale sul mare stupenda». Una cella pronta per loro e per i loro familiari. Minacce di sequestrare la loro azienda, la Italtraff di Manduria che da 30 anni si occupa di sistemi di rilevamento delle infrazioni del codice della strada. E minacce di fare applicare alla stessa società una interdittiva prefettizia che avrebbe rescisso qualsiasi possibilità di portare avanti o partecipare a nuovi appalti con le amministrazioni pubbliche. Un tentativo, in altre parole, di costringere due imprenditori ad accusare il comandante della polizia municipale di Trani di averli costretti a versare mazzette.

Tentativo che non sortì l'effetto di intimidire Antonio Marzo e Roberto Scarcella, 80 e 62 anni, il primo di Manduria e l'altro di Ugento, quando il 5 ottobre del 2015 furono sentiti come persone informate sui fatti negli uffici della Procura di Trani. Ascolti fonoregistrati e finiti nel fascicolo aperto dalla Procura di Lecce (competente per i reati commessi e subiti dai magistrati del distretto di Corte d'Appello di Bari) e che l'altro ieri sera è approdato alla sentenza di primo grado: sono stati condannati i pubblici ministeri che avrebbero prospettato il carcere nonché il sequestro e il blocco dell'azienda. Un anno di reclusione a Michele Ruggiero, 54 anni, di Bari (difeso dall'avvocato Viola Messa), noto per le inchieste sulle agenzie di rating e per aver indagato l'ex premier Silvio Berlusconi per capire se fosse vero che avesse chiesto la chiusura delle trasmissioni televisive di Michele Santoro. Otto mesi sono stati inferti ad Alessandro Pesce, 46 anni, di Roma, all'epoca magistrato di prima nomina (avvocati Andrea Pietracci e Gianluca Filice).

Tentata violenza privata, l'ipotesi di reato. Un anno e quattro mesi per Ruggiero ed un anno sono stati chiesti dal pubblico ministero della Procura di Lecce, Roberta Licci. Il dispositivo della sentenza del giudice della prima sezione penale, Alessandra Sermarini, ha inoltre previsto 4.800 euro di risarcimento danni a testa a Marzo ed a Scarcella costituitisi parte civile con l'avvocato Giandomenico Caiazza. Non si è costituito invece Giuseppe Fortunato, ossia il comandante della polizia municipale di Trani per il quale - dicono le carte del processo - i due imputati cercavano le prove per potergli contestare l'accusa di concussione. Negli interrogatori finiti poi al centro dell'inchiesta e del processo di Lecce, avrebbero voluto costringere i due imprenditori a dire di avere versato tangenti a Giuseppe Fortunato per l'appalto che prevedeva la fornitura di photored al Comune di Trani.

Quella raccolta di indizi sarebbe avvenuta - ha confermato la sentenza - in un clima contrario ai principi del codice: «Perché le sappiamo già, vogliamo vedere voi che risposte ci dite e se quello che voi ci dite non converge, lei se ne andrà in galera veloce. E lei dice: «Ma io c'ho il coso al cuore...possiamo impegnarci per farla stare con il caldo che fa al fresco. Dovete scegliere da che parte stare: o siete vittime o siete correi», uno stralcio dei quegli ascolti riportato nel capo di imputazione. In quei frangenti i magistrati parlarono con Marzo. Poi Marzo fu allontanato e a quello che sembrava più un interrogatorio (senza la presenza dell'avvocato) che un ascolto di persona informata sui fatti, fu sottoposto Scarcella.

«Tu sei il buono della situazione. Sei padre di famiglia, vero? In tutti gli appalti questi si prendevano le mazzette, tutti perché il sistema era questo. Quindi non mi venite a dire che non avete dato niente, perché noi prenderemo le carte che abbiamo qui e vi manderemo dritti in via Andria che sta il supercarcere. Sua figlia, suo figlio, dobbiamo coinvolgere anche loro?». Ed ancora. Il pm Pesce, rivolto a Marzo: «Gli elementi per procedere e per sequestrare tutto ce ne sono a bizzeffe. Il collega ha fin troppa pazienza, perché io l'avrei sbattuta fuori, ma in manette, di qua».
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