Mafia, beni sequestrati e restituiti alla città, il commissario: «Ma ora basta silenzi, spazio alla comunità sana»

Uno dei beni sequestrati alla criminalità a Monteroni
Uno dei beni sequestrati alla criminalità a Monteroni
di Matteo CAIONE
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Domenica 23 Febbraio 2020, 10:49 - Ultimo aggiornamento: 11:51
Il commissario straordinario di Monteroni, nel Salento, il viceprefetto vicario Guido Aprea, dallo scorso 8 gennaio al timone di Palazzo di Città, imprime una svolta sulla gestione dei beni sottratti alla Scu. E fa appello alla comunità: «Non bisogna aver paura di sostenere la legalità». A giorni, infatti, sarà pubblicato il bando per l’assegnazione di quattro immobili che l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità ha trasferito da alcuni anni al comune di Monteroni. Uno di questi è la villetta che sorge in contrada Saetta e che, a seguito della delibera del commissario, è stata fatta sgomberare lo scorso 12 febbraio: un bene confiscato in via definitiva nel 2015 e poi passato al comune nell’ottobre 2017. Ma che, fino a dieci giorni fa, era ancora nella disponibilità dell’ex proprietario, ovvero Giovanni Mazzotta, detto “Gianni Conad”, condannato in passato in via definitiva e ritenuto da magistratura e inquirenti uomo del clan Tornese.

Commissario Aprea, nel bando ci saranno anche altri tre beni che ricadono sul territorio di Monteroni, sottratti ad altri esponenti della criminalità tra il 2015 e il 2016 e già disponibili, che non erano stati ancora assegnati: un appartamento di via Santa Caterina da Siena, un’abitazione di via Monte San Michele e una masseria di contrada Pingo Centonze (famosa per aver ospitato una tigre siberiana allevata da Lucio Vetrugno, assassinato nel 2010). Si chiude una partita vinta dallo Stato?
«Lo Stato vince tre volte: innanzitutto riafferma la legalità, poi sottrae alla criminalità beni provento di attività illecite, così come stabilito dalla magistratura, e vince per la terza volta perché restituisce alla collettività immobili da utilizzare per finalità sociali. Nei giorni scorsi si è reso quindi necessario lo sgombero della villetta appartenuta a Giovanni Mazzotta, che illecitamente continuava a detenere quel bene».

La Prefettura, attraverso una nota, ha parlato di “un’operazione di ripristino della legalità sul territorio”. Come mai non si era finora concretizzata?  
«Non sono io a dover rispondere. La procedura era nelle competenze del Comune, che come prevede la legge deve destinare l’immobile per finalità sociali. È evidente che prima di farlo, c’è bisogno di una serie di passaggi: per prima cosa, l’acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune tramite una delibera di consiglio comunale, che ho adottato io, e poi l’accatastamento. In pochi mesi, nonostante la fase patologica del commissariamento, si possono fare anche alcune cose rimaste incagliate o che non si sono concretizzate per mille motivi. È stata un’operazione importante che però non ha suscitato alcuna reazione».

In che senso?
«Iniziative come queste servono soprattutto per rivitalizzare la partecipazione e lo spirito di comunità, per rendere i cittadini consapevoli. Il fine non è solo quello dell’utilizzo dell’immobile, è un altro: far capire alla gente di Monteroni che esiste un’altra realtà. Che non bisogna avere paura. Purtroppo, c’è una cappa su questa città. La gente ha difficoltà anche a parlare di questi temi. Quella dei giorni scorsi è stata un’operazione importante, che riguardava un esponente di spicco legato al clan Tornese. Eppure non c’è stata alcuna reazione, nemmeno sui social. Avrebbe dovuto destare, in una comunità di 14mila abitanti, una risposta di forte consenso a favore della riaffermazione della legalità. Invece, solo silenzio. È un problema molto grave, sia a livello sociale che culturale. Creare movimento attorno a questi beni confiscati significa ricreare un humus sociale e coinvolgere le persone in un’operazione di legalità a tuttotondo».

Che cosa può fare un’amministrazione?
«Deve fare la sua parte, cioè provare a creare le condizioni per sbloccare questa situazione. Deve aiutare la parte sana della comunità, cioè la stragrande maggioranza dei cittadini, a liberare le energie migliori per il bene comune. Una minima parte non può condizionare una comunità». 

Quali saranno i tempi del bando? 
«Tempi immediati. L’avviso pubblico sarà pubblicato entro quindici giorni. Siccome si tratta di finalità sociali, si sarebbe potuto procedere anche con assegnazione diretta ad onlus e associazioni, ma ho preferito un bando diviso in lotti».
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