«Ma io dormo qui fuori... non ho nemmeno il documento e vengo per prendere l'acqua»

«Ma io dormo qui fuori... non ho nemmeno il documento e vengo per prendere l'acqua»
di Pierpaolo SPADA
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Venerdì 10 Agosto 2018, 12:57
Non è stato un bagno di folla. Alle 10.30, quando Emiliano è arrivato, a Boncuri non erano presenti più di 30 dei 79 attuali braccianti ospiti. Tutti gli altri erano al lavoro. Tuttavia, al termine del sopralluogo, mentre il governatore conversava in privato con sindaco e forze dell'ordine, tra i viali del villaggio si trovavano a passare due ragazzi, le cui parole, probabilmente, rivelano il lato più amaro del modello-Nardò e smentiscono, almeno in parte, la tesi - sostenuta anche dalla Prefettura - secondo la quale oggi nessun bracciante dormirebbe per strada fuori dalla struttura.
«Io dormo qua fuori, qui non c'è posto per me perché io non ho il documento, sono qui solo per prendere l'acqua per cucinare», replica il primo dei due braccianti, un giovane africano il cui nome suona come Aliù. Tiene in pugno una tanica vuota. Per carità, il regolamento è chiaro. Ha accesso alla struttura solo chi è in possesso di permesso di soggiorno, regolare contratto di lavoro, o, quantomeno, dell'iscrizione alle liste di collocamento del centro per l'impiego. Allo stesso tempo, però, è indubbia l'esistenza di una problematica che è comune intento sradicare. «Io - racconta lo stesso bracciante - ho trovato lavoro solo un giorno, non raccolgo pomodori, raccolgo uva», replica ancora. E come sono le condizioni di lavoro? «Non buone: 5 euro l'ora, ho lavorato 6 ore». E i caporali ci sono? «Lui è il capo», dice il giovane, sorridendo e volgendo lo sguardo a un altro ragazzo, più grande, seduto sotto un gazebo scoperto proprio davanti al container nei pressi del quale è radunata la troupe di fotografi e cameraman che attende Emiliano. Ha abiti migliori e più puliti del primo, indossa una canotta, in capo ha una paglietta e al polso un bell'orologio. Spiega di essere ghanese. Sorride anche lui, un po' imbarazzato davanti alla domanda - «allora, sei tu il capo?» -, ma non sembra affatto preoccupato, non è teso, anzi, dimostra di voler dialogare, ha piacere nel rispondere alle domande dei tanti microfoni, intanto, sopraggiunti. Si alza in piedi e dice: «Mi chiamo mister Kennedy, sono appena arrivato, sono qui da tre giorni per raccogliere pomodori ma non ho ancora iniziato a lavorare. Mi trovo bene, si sta bene. Io lavoro al Nord d'inverno, a Treviso faccio l'operaio metalmeccanico».
All'esterno della struttura, che sorge proprio a ridosso della masseria che fino a due anni fa ha ospitato i braccianti e, con essi, anche un giro di prostituzione e spaccio di droga stroncato sul nascere, sin dalle 9.30 sono seduti altri due ragazzi. Un altro va e viene in bici dal campo, all'interno del quale, invece, Aliù e Kennedy sono le uniche due presenze visibili. Poi, c'è chi dall'interno di un container osserva, timido dietro la tendina, cosa avviene fuori. C'è molto silenzio. Il caldo si fa sentire su tutta l'area, che è un po' desolata e non è molto ampia. Un muretto di cemento, alto non più di 70 centimetri, sormontato lungo tutto il perimetro da una rete grigia di acciaio, la delimita. Quattro lune sorvegliano l'intero spazio nel quale 8 file da 10 container ciascuna, a tre metri una dall'altra, compongono il corpo centrale del campo. Sono, più precisamente, dei moduli abitativi amovibili. Li progetta la Ri spa di Trepuzzi della famiglia Tafuro, e sono gli stessi come dice anche Emiliano che ospitano i militari nei luoghi di esercitazione, presidio e guerra. Tre sono allestiti all'ingresso e ospitano ufficio controlli, infermeria e servizio disabili. Ogni container è munito di aria condizionata, include 4 posti letto (due letti a castello a meno di un metro uno dall'altro), altrettanti armadietti e un tavolo. In tutto i posti letto sono 300. Un container per fila è destinato ai servizi igienici (water e lavandino). Le docce e altri e più ampi lavandini sono disposti a schiera, all'aperto, sul lato ovest del campo lungo la recinzione.
Si ha esattamente la sensazione di essere in un contesto di alloggio di un cantiere edile o in un'area di accoglienza prossima a una zona colpita da calamità. In prossimità si vedono degli stabilimenti industriali. Tra i container, non c'è un bar, l'area ristoro ribolle perché tavoli e panche sono sparsi sotto un tendone di plastica spessa, e le cucine, che tra poco saranno sostituite da più semplici fornelli elettrici offerti dalla Caritas, sono un poco più in là. L'area dispone anche di zone ombreggianti, di un'area di aggregazione e di un parcheggio. In appositi spazi sono contenute, infine, due cisterne per l'acqua che serve a lavarsi. Presto, finalmente, arriverà la terza, che sarà anche la più capiente. Una piccola porzione d'area è destinata il martedì anche a due funzionari del Centro per l'impiego. E, se tutto va bene, da oggi tutti gli ospiti del villaggio disporranno anche del servizio di trasporto pubblico che la Regione ha affidato a Cotrap. Sin dalle 4.30 del mattino, ogni giorno, per oltre un mese, fermo nel piazzale antistante, i lavoratori troveranno un autobus da 50 posti pronto ad accompagnarli su e giù dai campi di lavoro, senza pretendere in cambio nemmeno un euro.
P.Spa.
 
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