Le scuse con lettera dell'assassino per l'ex bancario ucciso durante una rapina: «Ubriaco e drogato, non ero in me»

Il luogo dove avvenne l'omicidio
Il luogo dove avvenne l'omicidio
di Roberta GRASSI
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Giovedì 14 Aprile 2022, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 17:55

"Quella sera avevo bevuto molto e avevo assunto della cocaina, non ero in me". Lo scrive in una lettera di scuse, depositata oggi dinanzi alla Corte d'Assise di Lecce, Mecaj Paulin, uno dei due imputati per l'omicidio dell'ex bancario Giovanni Caramuscio, 69enne di Monteroni ucciso la sera del 16 luglio 2021 con due colpi di pistola dopo un tentativo di rapina davanti a uno sportello bancomat di Lequile. 

Oggi c'è stata la prima udienza del processo per Paulin, 31enne albanese, e per il coimputato, Andrea Capone 28 anni, di Lequile.

I difensori del primo, Luigi Rella, e del secondo, Maria Cristina Brindisino e Raffaele De Carlo hanno riproposto, dopo averlo fatto a seguito del giudizio immediato, una richiesta di abbreviato che non è stata concessa dalla Corte (presidente Pietro Baffa, a latere Franesca Mariano) per via della contestazione che prevede come pena l'ergastolo e non consente di accedere a riti alternativi. È stato ascoltato uno degli investigatori che condusse le indagini e il processo è stato riaggiornato. 

 

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La lettera

Ma la principale novità, è la lettera scritta a penna e firmata da Paulin, che segue a un'analoga iniziativa di Capone che pure aveva voluto formulare le proprie scuse alla famiglia, ribadendo la propria estraneità all'esecuzione dell'omicidio. «Innanzitutto - scrive Paulin - rivolgendomi alla famiglia della vittima faccio presente che il sottoscritto è molto amareggiato per quello che è successo in quella maledetta sera, non volevo ammazzare il signor Caramuscio». 
E poi ancora: «Non avevo nessuna intenzione di ucciderlo, volevo solo fare una semplice rapina per l'acquisto di sostanza stupefacente e alcol quale assuntore. In quella sera avevo bevuto molto e assunto della cocaina, non ero in me e involontariamente ho premuto il grilletto uccidendo senza essere cosciente e in me, in preda al panico, e per questo sono molto amareggiato». 

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La confessione

Aggiunge: «Faccio presente a tutti che mi assumo tutte le mie responsabilità essendo consapevole di aver commesso un atto orribile, infatti non faccio questioni sulla responsabilità in ordine al delitto». Infine la richiesta di perdono «dal profondo del mio cuore e con tutta la mia forza che ho a tutta la famiglia della vittima». Stando ai riscontri delle indagini, sarebbe stato Mecaj a sparare due volte con una pistola calibro 7,65 contro Caramuscio che, poco prima della tragedia, per sottrarsi al tentativo di rapina, provò a reagire sferrando un pugno a Capone. Poi la fuga a piedi dei due giovani con il 69enne lasciato a terra sanguinante, morto sotto lo sguardo impotente della moglie. Tutta la scena della tentata rapina e dell’aggressione finita nel sangue venne ripresa dalle telecamere di sorveglianza dell’istituto di credito. Proprio attraverso quei filmati fu possibile ricostruire le sequenze dell’azione criminale e risalire ai due giovani.

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La testimonianza

Non solo. Importante nelle indagini anche la testimonianza di un uomo, che vide uno dei giovani gettare una busta. Successivamente, i carabinieri accertarono che in quella busta c’erano gli indumenti indossati la sera del 16 luglio, al momento della tentata rapina. Nella rete di indagini dei militari sono finiti anche i cellulari dei due giovani. Mentre nella perquisizione in casa di Mecaj fu rinvenuta una pistola nascosta in una pianta ornamentale. tutti elementi che convinsero i giudici a optare per la misura cautelare in carcere. Entrambi gli indagati, durante l’interrogatorio, si avvalsero della facoltà di non rispondere. La famiglia della vittima è assistita, invece, dall’avvocato Stefano Pati.

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