Seccia abbraccia la comunità: «Fede e fiducia nella scienza. La madre delle sfide? Quella per combattere la povertà educativa»

Seccia abbraccia la comunità: «Fede e fiducia nella scienza. La madre delle sfide? Quella per combattere la povertà educativa»
di Matteo CAIONE
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Domenica 4 Aprile 2021, 20:21

Un anno e passa di pandemia, un vuoto che rappresenta un esame di maturità tra disuguaglianze che crescono, vaccini, disoccupazione, economia in ginocchio e una povertà (anche culturale) che rischia di dilagare. È la seconda Pasqua nella morsa del Covid e l'arcivescovo di Lecce Michele Seccia parla a tutto a campo e rilancia le parole d'ordine: solidarietà e speranza.
Arcivescovo Seccia è Pasqua, ma per molti c'è poco da festeggiare. Quale messaggio si sente di rivolgere loro?
«Il mio è un messaggio di speranza, che non vuol dire illusione del futuro. È un po' come la natura: in inverno sembra tutto addormentato, ma sotto la neve, pane diceva un vecchio proverbio. Stiamo avvertendo la sofferenza, che si tramuta in paura e disagio sociale. Eppure, proprio in questo Triduo ho percepito la risposta delle persone, la voglia di riscoprire il desiderio della fede e della preghiera. Su questo germoglio si innesta la speranza, è una spinta a non lasciarsi scoraggiare, a riprendere il cammino. La sofferenza sta attraversando e mettendo a dura prova le famiglie e le nostre comunità: un confratello, don Marco De Carolis, ha perso la vita per il Covid. E altri due sacerdoti della diocesi di Lecce, grazie a Dio, hanno superato la malattia».
È esplosa la polemica pure sui vaccini. Che ne pensa? «Dobbiamo aver fiducia della scienza. Non si può approcciare tutto, finanche la medicina, come una questione commerciale. Vaccinarsi rientra tra quelle che sono le responsabilità etiche, individuali e sociali che incidono sull'essere comunità. Io lo farò senza dubbi o remore appena sarà il mio turno».
La pandemia ha accentuato le disuguaglianze. E l'emergenza sanitaria è diventata a stretto giro anche emergenza economica e sociale. Qual è la sua esperienza e cosa sta facendo la Chiesa locale su questo terreno?
«La sofferenza, di qualsiasi forma, sta lievitando. Sempre più persone, anche padri di famiglia che hanno perso il lavoro, bussano alle porte di parrocchie ed episcopio per invocare aiuto. Tuttavia, la speranza si regge anche su una solidarietà straordinaria che proviene da più parti. E la Chiesa, anche in piena pandemia, non ha indietreggiato di un millimetro continuando ad assicurare non solo accoglienza e aiuti economici, ma anche il sostegno alimentare tramite le mense della Caritas di Lecce che ogni giorno garantiscono un piatto caldo, sebbene ora da asporto. Circa 300 pasti solo a pranzo, più i vari punti-ristoro serali».
Cos'altro?
«La stessa Caritas diocesana intanto, di recente, col sostegno della Bcc di Leverano, ha donato tablet e notebook a famiglie in difficoltà per fornire strumenti idonei e una connessione di qualità per la didattica a distanza dei figli. Anche perché l'emergenza culturale non è certo meno delicata di quella economica: non basta sfamare il corpo. È altrettanto fondamentale scaldare i cuori, anche attraverso i segni della fede per chi crede, ma pure nutrire la mente e sostenere le famiglie nell'educazione dei ragazzi. È un compito dal quale come pastore non mi sentirò mai esonerato».
Cosa possono fare la politica e le istituzioni?
«Mettersi al servizio delle persone. È un tempo che impone una doverosa cautela, purché non venga meno la solidarietà. Anche e soprattutto nel pieno di una pandemia, la madre di tutte le sfide è quella di combattere, insieme alla povertà economica, anche la povertà culturale ed educativa. E nel mio piccolo anch'io cerco di svolgere il mio compito affinché le giovani generazioni non debbano un giorno rimproverare noi adulti per non aver fatto il possibile perché non mancasse nulla alla loro formazione umana».
Anche nel Salento il Covid ha seminato morte, povertà, solitudine. Che insegnamento trarre da questa lunga e dolorosa esperienza?
«In questi momenti si impara l'essenzialità di ciò che conta davvero: il valore della vita, gli affetti, le relazioni, la centralità delle persone».
In un periodo che impone le distanze, la connessione è un valore: per lo smart working e la didattica a distanza, ma anche per la Chiesa. La diocesi di Lecce anche quest'anno ha trasmesso i riti della Settimana Santa in streaming e sui social. Come conciliare questa nuova frontiera con il valore della socialità?
«La sfida delle nuove tecnologie è una prova di maturità per tutti e si gioca su un uso sapiente e intelligente della Rete.

Per questo fin dal mio arrivo ho puntato molto su Portalecce.it che è e rimane uno strumento di accompagnamento e di vicinanza prezioso, specie in questo tempo di lontananze. Anche la Dad, per esempio, è un'occasione buona, anche se eccezionale, per i ragazzi e per le famiglie per tastare il polso della crescita umana nel solco dell'esercizio della responsabilità. Resta il primato dei rapporti personali, ma i social sono ormai parte della vita della gente e non un mondo a sé stante».

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