La Commissione uranio: «A Torre Veneri situazione rischiosa, bonificheremo il poligono»

La Commissione uranio: «A Torre Veneri situazione rischiosa, bonificheremo il poligono»
di Stefano MARTELLA
3 Minuti di Lettura
Giovedì 23 Marzo 2017, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 12:01
«Abbiamo trovato una situazione complessa e rischiosa. A Torre Veneri serve una bonifica radicale». Esordisce con questa frase, calibrando le parole, Gian Piero Scanu, presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito in visita ieri a Lecce per verificare la corretta applicazione delle misure di sicurezza nel poligono di Torre Veneri sulla costa leccese a nord di San Cataldo. 
La delegazione guidata da Scanu e composta dalla vicepresidente Donatella Duranti e dai deputati Ivan Catalano, Gianluca Rizzo e Diego Zardini, ha raggiunto Lecce dopo aver visitato, il giorno prima, il poligono barese di Torre di Nebbia. Alle 9 erano davanti ai cancelli del poligono di Torre Veneri, poi alle 10.30 la delegazione si è spostata alla Scuola di Cavalleria di Lecce per ascoltare il comandante del poligono, il generale Fulvio Poli, il responsabile del Servizio Sicurezza e Prevenzione, capitano Mario Paladini, il medico competente e i presidenti delle associazioni Lecce Bene Comune e Lecce Città Pubblica.
L’obiettivo dichiarato dell’incontro era quello di accendere un faro sulla tutela della salute di chi lavora nelle aree militari e di chi vive nelle vicinanze oltre alla salvaguardia dell’ambiente. Di questo si è parlato nella conferenza stampa convocata alle 13 in prefettura dove Scanu ha tirato le somme della doppia visita leccese. Preliminarmente ha dichiarato di aver trovato «un clima di disponibilità e collaborazione da parte dell’Esercito».
Poi Scanu è entrato nel cuore del problema: l’inquinamento dell’area. «Da parte dell’Esercito - ha spiegato Scanu - abbiamo riscontrato una grande presa di coscienza della delicatezza della questione e la dirigenza si è posto il problema, con i mezzi che ha, del recupero in superficie. Poi dovrà essere la politica e il Governo a trovare il sistema e i finanziamenti per disporre un recupero totale dell’area: serve una bonifica che riguardi sia i suoli sia il tratto di mare interessato dalle esercitazioni militari. Questa è un aspetto non solo possibile, ma dovuto. Inoltre è auspicabile che al piano delle bonifiche prenda parte un organo terzo, e in questo l’Università del Salento, che ha già svolto il piano di caratterizzazione dell’area, si è dimostrata disponibile». 
 
Poi l’attenzione di Scanu si è spostata su uno degli aspetti più scottanti della vicenda: la presenza di uranio impoverito. Era il 2001 quando un gruppo di artificieri del deposito “Ederle”, in Toscana, segnalava ai superiori, in un documento riservato, una preoccupazione: nei locali del deposito i militari avevano appena finito di svolgere operazioni di manutenzione su alcune partite di proiettili acquistate dall’Esercito israeliano e utilizzate nel 1993 dal contingente italiano in Somalia. La preoccupazione dei militari riguardava in particolare un lotto di munizioni, così chiamato: “105/51 mm APFS/DS-T DM 33 Lotto xxxx (all’Uranio impoverito)”. 
Quel lotto di proiettili, molti anni dopo, venne poi utilizzato per esercitazioni militari all’interno del poligono di Torre Veneri. I resti saranno trovati nel fondale marino. Ma su questi resti non è mai stata fatta piena chiarezza: in una precedente visita la Commissione aveva fatto richiesta di acquisizione delle schede tecniche e storiografiche dei colpi contenuti in quella partita di munizioni. Schede che avrebbero permesso di certificare la presenza di uranio impoverito in quelle munizioni, ma il Ministero della Difesa non rispose. Le schede erano secretate. Per questo ieri Scanu ha chiesto ufficialmente che quelle schede siano desecretate in modo che la verità possa venire a galla una volta per tutte. «Chiederemo la desecretazione delle schede - continua Scanu - in modo da poter conoscere effettivamente quello che è accaduto. Una commissione d’inchiesta non si può limitare ad esaminare la superficie, deve andare fino in fondo». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA