Negata la protezione al pentito della Scu, ma il Tar lo riammette

Filippo Cerfeda
Filippo Cerfeda
di Erasmo MARINAZZO
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Venerdì 27 Maggio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 19:58

Il Tar Lazio sospende il provvedimento con cui la Commissione centrale del ministero dell’Interno aveva revocato il programma di protezione all’ex boss della Scu, Filippo Cerfeda, 54 anni, di Lecce. Reo confesso di 15 omicidi, alla guida del clan leccese dal pentimento di Dario Toma fino all’arresto in Olanda a marzo del 2003 e passato a collaborare ad agosto di quell’anno consegnando agli inquirenti un fitto e puntuale diario scritto di suo pugno su fatti e persone della sua reggenza della frangia della Scu facente riferimento al boss storico Giovanni De Tommasi.

La mancata proroga

Cerfeda a marzo scorso aveva visto la mancata proroga della protezione alla verifica dei cinque anni sulla sussistenza dei presupposti: con il parere favorevole della Direzione distrettuale antimafia (Dda) della Procura di Lecce e della Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo (Dna), la Commissione centrale aveva stabilito che fossero maturi i tempi per cambiare definitivamente vita non essendoci più “indici sintomatici di pericolosità sociale”.
Non ha condiviso questo orientamento l’uomo che con le sue rivelazioni ha fatto infliggere ergastoli e centinaia di anni di reclusione nei processi nati dalle operazioni Arpia e Pit. L’uomo che con la sua collaborazione ha contribuito anche alla confisca del terreno sulla via per Torre Chianca dove c’è in progetto di fare sorgere la Cittadella della Giustizia.

E per questo, per gli strascichi che potrebbe avere lasciato la sua collaborazione sulla vita degli ex subalterni, Cerfeda ha deciso di impugnare la decisione davanti al Tar Lazio, affidandosi all’avvocato Enrico Morcavallo. Ieri il deposito del decreto del presidente della prima sezione ter: istanza accolta con sospensione degli effetti della delibera della Commissione centrale. Nel merito il caso sarà trattato da un collegio di giudici nell’udienza del 5 luglio prossimo.

La difesa ha prodotto anche articoli di giornale


La difesa ha prodotto atti giudiziari ed articoli pubblicati da questo giornale per dare la misura dell’attualità del pericolo che correrebbero Cerfeda ed i suoi familiari, se non fosse più garantito il programma di protezione. Tanto perché il contributo offerto dall’ex boss è stato di fondamentale importanza per comprendere le dinamiche, gli affari e le alleanze della Scu di quegli anni. “Eccezionale livello di collaborazione”, l’aveva definita la Dda salentina. La Dna aveva parlato di “rilevanza delle dichiarazioni costituente fonte di pericolo”. Tutte circostanze che la difesa ha ritenuto sintomatiche per dimostrare quanto ancora oggi, a 19 anni dalla scelta di passare nelle fila dei collaboratori di giustizia, l’incolumità di Cerfeda fosse in pericolo.
È vero anche dell’esistenza di una nota di febbraio del Servizio centrale di protezione che parla del parere favorevole di Cerfeda a lasciare il programma di protezione, ma lo stesso ex boss aveva chiesto il cambio delle generalità. Richiesta che poi non era stata accolta dallo stesso ufficio.
La sospensiva riguarda anche gli altri provvedimenti adottati dalla Commissione centrale e conseguenti alla evoca della scorta: l’erogazione per due anni del sussidio erogato al collaboratore, l’accompagnamento con scorta negli impegni con la giustizia, l’assistenza legale, il mantenimento del domicilio presso la Commissione centrale e la segnalazione dei suoi spostamenti per adottare misura adeguate di protezione. Insomma, anche questo un programma di protezione ma solo in particolare circostanze non per la vita di tutti i giorni.

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