Negata la scarcerazione all’ex suocera del boss: «Contatti con il clan»

Negata la scarcerazione all’ex suocera del boss: «Contatti con il clan»
di Alessandro CELLINI
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Mercoledì 19 Aprile 2017, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 18:29
Aveva diritto a usufruire della liberazione anticipata, ma secondo il Tribunale di Sorveglianza erano ancora costanti e intensi i contatti con gli esponenti della criminalità organizzata locale. Per questo la sua richiesta era stata rigettata. Ora una sentenza della Corte di Cassazione segna un punto a favore di Cinzia Prinari, 53enne di Lecce, ex suocera del boss emergente Davide Vadacca, con condanne per reati legati al traffico e allo spaccio di droga sulle spalle: ha annullato il provvedimento che le negava la liberazione e ha inviato nuovamente tutti gli atti ai giudici di sorveglianza, affinché si esprimano sul caso approfondendo questa in maniera esauriente i presunti contatti con personaggi della Sacra corona unita.
La donna di recente era stata condannata a nove anni e quattro mesi di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare Simona Panzera per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Ma la Prinari si trovava già in carcere per un altro episodio di spaccio, che le era costato una condanna a tre anni e mezzo. Scontata una parte di questa condanna, attraverso i suo legale, l’avvocato Fulvio Pedone, aveva fatto richiesta di poter usufruire della liberazione anticipata, una riduzione della pena pari a 45 giorni per ogni semestre scontato, anche sulla base di un percorso di riabilitazione seguito in carcere. Richiesta, però, respinta dal Tribunale di Sorveglianza, che (rifacendosi a una nota della Direzione distrettuale antimafia) aveva spiegato come la donna non avesse interrotto i contatti con esponenti della criminalità locale. A conferma di ciò, vi sarebbero anche una serie di lettere scambiate con persone “sospette”. Dall’altro lato, l’avvocato Pedone ha sostenuto che i contatti in questione, peraltro mai approfonditi dal giudice, erano da una parte con persone dello stesso nucleo familiare, dall’altra con soggetti assolti dall’accusa di associazione mafiosa.
 
La Corte di Cassazione, cui si è rivolta la donna dopo il “no” ricevuto dal Tribunale di Sorveglianza, le ha dato ragione. «La valutazione espressa dal procuratore nazionale o distrettuale antimafia - scrive nella sentenza la Suprema corte - deve fondarsi su dettagliati e non generici elementi», e peraltro non è «vincolante per il giudice. Costui deve sottoporla a controllo». Nonostante ciò, il Tribunale «ha confermato e valorizzato la indicazione della certa e attuale appartenenza della ricorrente al clan Vadacca». Ma gli elementi esposti dal giudice di Sorveglianza sono «non pienamente esplicativi», e non forniscono un quadro che permette di indicare su quali basi poggia l’ipotesi che la donna sia ancora collegata al contesto criminale. Per questo la Cassazione annulla il provvedimento con cui si negava alla Prinari la liberazione anticipata e rimette in gioco lo stesso Tribunale di Sorveglianza, che ora dovrà decidere nuovamente sulla sorte della donna. Tenendo conto, evidentemente, dei rilievi della Suprema corte.
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