Inchiesta case popolari, la Giunta delle immunità ha deciso sul caso Marti: «No alle intercettazioni con i politici». La parola al Senato

Inchiesta case popolari, la Giunta delle immunità ha deciso sul caso Marti: «No alle intercettazioni con i politici». La parola al Senato
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 08:53 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 12:11

Sì all'utilizzo dei sette messaggi scambiati con il collettore di voti Rosario Greco. Consenso negato, invece, per le telefonate e i messaggi scambiati dal senatore salentino Roberto Marti (Lega) con gli ex assessori comunali Attilio Monosi e Luca Pasqualini. Si è conclusa così la votazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari sulla richiesta di utilizzare le intercettazioni telefoniche ed i messaggi nello stralcio dell'inchiesta della Procura di Lecce sullo scambio voti-case popolari. L'inchiesta dei pubblici ministeri Massimiliano Carducci e Roberta Licci che vede indagati per l'assegnazione nel 2014 al fratello del boss Maurizio Briganti di un immobile confiscato alla mafia, il senatore Marti con Damiano D'Autilia (consigliere comunale ed amministratore dell'Alba Service), Monosi e Pasqualini, Rosario Greco, Antonio Briganti e la moglie Luisa Martina per tentato abuso di ufficio, falso ideologico aggravato e tentato peculato.

Il parere

Parere favorevole alla richiesta arrivata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, all'impiego di tutte le intercettazioni e le telefonate lo ha fornito nell'ultima seduta la senatrice del M5S Agnese Gallicchio, auspicando che «il senatore Marti voglia collaborare spontaneamente alle indagini, al fine di sgomberare il campo da ombre sul suo operato, per fare luce su questa grave vicenda e per restituire alla figura del parlamentare l'onorabilità che dovrebbe esserle propria». In linea con il relatore Durnwalder anche il senatore Pietro Grasso (Misto-Leu), ex magistrato ed ex presidente del Senato: sì all'autorizzazione dei dialoghi con Rosario Greco, ma anche quelle - diversamente da quanto sostenuto dal relatore - del 15 maggio e dell'1 luglio 2014 (Marti dialogava con Monosi) perché «fortuite in quanto iniziali».

Il nodo del dibattito


È stato questo il tema del dibattito nella Giunta delle immunità parlamentari, conclusosi dunque con un sì: i messaggi e le telefonate in cui compare Marti furono solo causali o fortuite e, dunque, non avevano bisogno dell'autorizzazione a monte del Senato? Oppure era evidente che Marti sarebbe necessariamente iscritto sul registro degli indagati? Il relatore ha accolto la tesi della memoria depositata dall'interessato il 16 marzo, che in altre parole riprende la linea difensiva degli avvocati Pasquale e Giuseppe Corleto nella camera di consiglio con il gip Gallo. «Nell'informativa della Guardia di finanza del gennaio 2014 viene ipotizzato un reato di associazione a delinquere commesso dal senatore Marti insieme a Monosi e a Pasqualini. Tale informativa rende espressamente edotta l'autorità giudiziaria della qualifica di parlamentare rivestita da Marti alla data gennaio 2014 e rende edotta la stessa di un sodalizio criminoso sussistente tra il senatore Marti, Monosi e Pasqualini».
Greco, invece, all'epoca non era citato.

Per questo secondo il relatore si può parlare di intercettazioni fortuite, diversamente da quelle con Monosi e Pasqualini.

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