Medici in allarme per l’impennata di violenze, fisiche e verbali, in corsia. Annualmente in provincia di Lecce sono circa 130 i casi di minacce e aggressioni che vengono riferite agli Ordini professionali. Negli ultimi mesi la situazione, numeri alla mano, è diventata ancora più grave: ben 43 le aggressioni su sanitari registrate al 31 marzo scorso. Molte meno invece quelle denunciate alle Forze di Polizia, e quasi tutte legate a violenze fisiche. Le quattro denunce infatti, fanno riferimento a episodi avvenuti negli ospedali di Lecce, Gallipoli e Scorrano e in una guarda medica.
I medici pronti a lasciare il pubblico per il privato
In uno scenario in cui sempre più medici hanno paura e accusano la sindrome da burnout e sono pronti a lasciare la sanità pubblica per il privato, e i pronto soccorso sono allo stremo delle forze per carenza di personale, l’Ordine dei medici di Lecce alza le difese a tutela dei camici bianchi e prova a reagire, avviando una campagna pubblicitaria strutturata contro le violenze.
«Abbiamo programmato incontri, eventi, flash mob e un forte ed immediato richiamo – dichiara il presidente Donato De Giorgi - che vogliamo trasmettere: siano i cittadini e soprattutto il loro futuro a impegnarsi a “non usare mai le mani contro chi ti dà una mano”.
Il tema delle aggressioni resta centrale e da affrontare». «Le violenze esercitate contro chi ogni giorno impegna la propria vita e la professione per aiutare, curare e salvare vite umane, tra mille difficoltà e carenze – aggiunge De Giorgi - stanno creando ormai una situazione emergenziale.
Il richiamo a una maggiore attenzione negli ospedali
Quindi il richiamo del presidente dell’Ordine dei medici ad una maggiore sicurezza e attenzione negli ospedali e alla responsabilità dei cittadini. Se sono indispensabili le normative sempre più precise, l’impegno puntuale delle forze dell’ordine e soprattutto quello delle istituzioni ed in particolare dell’Asl come responsabili della sicurezza lavorativa, è necessario e fondamentale soprattutto lavorare sulla formazione del personale sanitario e dei cittadini. La complessità della situazione è fotografata anche dalle percentuali di medici che hanno subito violenza: il 40,8% di camici bianchi aggrediti ha un’età compresa tra 55 e 65 anni, il 25,45% tra i 35 ed i 45, il 25,21% tra i 45 ed i 55 anni ed infine l’8,55% tra i 25 ed i 35 anni. Il 56,10% delle vittime è di sesso femminile, indice di come il problema aggressioni continui ad essere più sentito tra i medici donne (nel 2018 era il 53%).
Non sono esclusi i medici di famiglia
E da questo scenario non sono esclusi neppure i medici di famiglia front office della sanità e principale via di accesso al sistema sanitario come sottolineato dal vicepresidente dell’Ordine Gino Peccarisi. «Nonostante l’importanza dell’attività svolta – prosegue – gli studi medici sono anche il luogo in cui l’utenza poco accondiscendente ricerca soluzione a problemi inesistenti, richiede esami diagnostici suggeriti dal web, pretende prescrizioni farmaceutiche inopportune, certificazioni di malattia ingiustificate, soluzioni a visite specialistiche prescritte è mai espletate. I cittadini dovrebbero concorrere insieme ai sanitari e amministratori al superamento delle attuali criticità e non ricercare facili bersagli come i medici, inermi, intenti ad occuparsi semplicemente della salute dei pazienti Decisa la chiosa di Peccarisi al rispetto dei ruoli, alla solidarietà e alla collaborazione per tutelare la professione e salvaguardare il rapporto medico-paziente. Non siamo infallibili ma svolgiamo con passione la nostra attività conclude -. Ci impegneremo a rendere meno conflittuale la relazione con i cittadini e alle offese fisiche e verbali reagiremo col lavoro, forti dell’orgoglio della professione, stanchi di commemorare i nostri morti e a subire angherie con malcelata rabbia che ci scoppia dentro. Senza operatori non esisterebbe la sanità, senza organizzazione il sistema è in crisi, senza collaborazione dei cittadini è a rischio la democrazia».
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