La libertà di Olimpia, diventata donna senza un chirurgo

La libertà di Olimpia, diventata donna senza un chirurgo
di Erika FIORE
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Domenica 18 Febbraio 2018, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 16:33
È andata via da Lecce a 4 anni nelle vesti di Lorenzo, ieri è tornata in quelle di Olimpia. A dicembre ha compiuto 18 anni, ma la sua vittoria l’ha portata a casa a 17: lei è il secondo caso di adolescente transgender in Italia ad aver ottenuto la “rettifica” dei dati anagrafici senza sottoporsi all’intervento di riattribuzione chirurgica del sesso.
Olimpia, ospite ieri pomeriggio presso la sede dell’associazione Ra.Ne. Rainbow Network a Lecce, è nata a Roma e ha vissuto nel Salento fino a di 4 anni. Risale all’età di 13 anni il suo primo coming out: alla mamma, Mariella, Lorenzo (all’epoca), la confesssione di essere attratto dagli uomini. «La prima volta mi ha detto di essere omosessuale. Un passaggio, questo, molto comune tra i transgender - spiega la madre - ma in cuor mio sapevo già che Lorenzo è nato donna, questa sua attitudine era evidente sin da bambino. Prima di raggiungerne la piena consapevolezza sono trascorsi altri tre anni». È stata una sentenza del Tribunale di Frosinone a consentire il riconoscimento a tutti gli effetti del cambio di sesso all’adolescente.
Olimpia, che prima di allora è stata vittima di bullismo verbale e di un’aggressione fisica, parla apertamente: «Qui in Italia, per un transgender come me, essere a posto con la burocrazia è più importante che avere una vagina».
Olimpia racconta di quando in classe all’arrivo di ogni nuovo insegnante doveva avvicinarsi per spiegare che all’appello il Lorenzo scritto sul registro non era altro che lei. Per 17 anni non ha mai potuto usufruire di abbonamenti a mezzi pubblici: la carta di identità era visibilmente smentita dalla sua apparenza estetica. Senza un documento “fedele” alla realtà Olimpia ha vissuto per anni come un fantasma di se stessa.
Caschetto scuro e sguardo fiero spera che la sua tanto sudata conquista possa essere d’esempio per altri. Intanto scalpita all’idea di poter finalmente godere di una vita normale, anche lontano dai riflettori. Non è di tante parole, le poche che spende però lasciano il segno: «Se nasci uomo e ti senti donna non sei destinato a morire in gabbia. La vera prigione è il concetto di normalità, la vera prigione è negli occhi di chi guarda. Ecco perché essere a posto con la burocrazia è il passo fondamentale per poi dirsi finalmente liberi. Ed è paradossale come l’essere riconosciuti donna dalle istituzioni abbia la priorità sull’essere tale sotto tutti i punti di vista».
 
La mamma, fedele amica e compagna di mille battaglie, lo scandisce a chiare lettere: «Amare un figlio significa rispettarlo e sostenerlo nella ricerca della sua felicità qualunque essa sia. Non c’è motivo di vergognarsi. La serenità disarma i bulli e tutti coloro che, ingabbiati in steccati ideologici senza fondamento, non accettano le sfumature. Esiste l’uomo e la donna e poi esiste chi, pur nascendo nel corpo “sbagliato”, ha il diritto di scegliere per la propria vita. A chi dice che siamo donne coraggio rispondo: no, non è questione di coraggio. Siamo persone che sanno amare a prescindere dall’identità di chi si ha di fonte».
 
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