Il dolore del papà: «Il mio Giorgio non tornerà più»

Il dolore del papà: «Il mio Giorgio non tornerà più»
di Alessio QUARTA
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Sabato 21 Ottobre 2017, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 18:35

«Perché sono andato a lavorare? Perché?». È una domanda ossessiva che papà Danilo si ripete senza darsi pace. Le mani in faccia e tra i capelli, mentre le lacrime scendono giù copiose dagli occhi.
Una realtà impossibile da accettare, che ti distrugge la vita in un battito di ciglia.
C’è una cappa di tragica tristezza che ammanta le vie di Leverano in questa calda giornata di ottobre, mentre la notizia comincia a diffondersi. Prima piano piano, di bocca in bocca, poi come uno squasso pesantissimo. Un colpo secco che tramortisce e lascia senza fiato. Via Catone è area off limits, opportunamente chiusa in ingresso e in uscita dall’intervento della Polizia Municipale e dei Carabinieri per tenere alla larga la folla di curiosi e permettere agli inquirenti e al personale medico di svolgere il proprio triste lavoro almeno senza intralci.
Con il passare dei minuti, la speranza di poter salvare la vita del piccolo Giorgio si affievolisce e lascia strada alla peggiore delle notizie.
È un’incredulità che fa rimanere a bocca aperta, toglie il respiro e crea spaesamento.
«Mio figlio andava nella stessa scuola del fratellino, che tragedia», sussurra una passante ad una vicina di casa, mentre si cercano certezze nel vortice incontrollato delle voci di paese.
«Si erano trasferiti qui da poco, sono bravissimi ragazzi», precisa una donna residente in via Catone, a pochi passi da dove si è verificato l’incidente. Non c’è altra parola, se non quella di tragedia, per definire all’interno del lessico umano ciò che nell’umana comprensione fatica a trovare spazio di rassegnazione.
La via si affaccia sull’antica cinta muraria di Leverano, quella che i residenti in dialetto definiscono “lu giru ti lu muru”. È lì che il capannello di persone si ritrova, mentre il traffico di macchine rallenta, qualcuno dà uno sguardo più o meno rapido verso l’ambulanza ferma davanti alla casa e si gira dall’altra parte a chiedere cos’è successo. Quando apprendono della morte di uno bambino di due anni, le reazioni si ripetono pressoché identiche nel susseguirsi cronologico dei minuti.
 
Mani alla bocca a fermare parole che, comunque, non hanno forza di uscire e occhi sgranati a chiedere conferma di una realtà che non si vuole accettare. Intanto i genitori del piccolo Giorgio si abbracciano e non si danno pace. La giovane mamma, Annalisa, si porta le mani davanti agli occhi, comprensibilmente sotto choc, trovando consolazione tra le braccia del marito e dei familiari.
Arriva anche la nonna paterna sul luogo della tragedia, si trascina faticosamente sorretta sotto braccia dai parenti.
Le portano una sedia e dell’acqua da un bar vicino, per aiutarla a sopportare ciò che non è umanamente sopportabile. «Adesso Giorgio non verrà più da me», ripete piangendo a chi le si stringe attorno per darle forza.
A pochi passi il figlio si adagia stremato sui gradini di una casa. È il pianto a dirotto di un padre che avrebbe volentieri barattato il proprio destino con quello del figlio. «Non torna più Giorgio, non torna più», ripete affranto e disperato in un angolo di solitudine, a guardarsi tra le mani un vuoto che non sarà colmabile.

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