Il boss pentito e la Scu: ecco i segreti che Montedoro potrebbe rivelare

Il boss pentito e la Scu: ecco i segreti che Montedoro potrebbe rivelare
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 19 Settembre 2018, 11:16
L'inizio della fine del clan della Sacra Corona Unita del Basso Salento? Il sentiero sembra ormai tracciato: il capo indiscusso sta parlando. Tommaso Montedoro, 41 anni, di Casarano, è un pentito. Sta raccontando il passato remoto e quello più recente dei fatti e dei misfatti degli ultimi 20 anni della criminalità organizzata che lo ha eletto referente. E sta raccontando i rapporti che avrebbe avuto con l'imprenditoria locale come pure le strade che avrebbero preso i tanti soldi guadagnati con il traffico di droga. Lui a capo di quel clan che due anni fa fece ricredere chi sosteneva che anche la Scu salentina avesse fatto la scelta di inabissarsi per votarsi esclusicamente all'imprenditoria abbandonando i metodi violenti e sanguinari: con l'omicidio a colpi di kalashnikov davanti ad un centro commerciale dell'ex socio Augustino Potenza. E con l'agguato Luigi Spennato - uomo di Potenza - che ha avuto esiti devastanti sulla vita di quest'uomo.
Radio carcere ha diffuso la voce, poi rivelatasi fondata, che Montedoro era passato nelle fila dei collaboratori di giustizia. La prima conferma: Montedoro è stato trasferito dal carcere di Voghera a quello di Rebibbia a Roma. Ed è qui, nell'ala riservata ai pentiti, che sta incontrando periodicamente il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia, Guglielmo Cataldi, e i carabinieri del Nucleo investigativo. Montedoro è assistito da un avvocato che non è quello che lo ha difeso nei processi per omicidio, mafia e droga: è Sergio Luceri. Un avvocato del gruppo ristretto che difende i collaboratori di giustizia. La conferma che è stato avviato il programma di protezione: siamo agli inizi, ma la strada è tracciata.
È ancora chiuso nel segreto istruttorio il contenuto degli interrogatori che sta sostenendo a Rebibbia. Alla luce dei suoi trascorsi è probabile che stia revocando le scorribande sanguinarie degli anni Novanta con un altro boss passato poi a collaborare: il brindisino Vito Di Emidio. E nel Basso Salento chi lo conosce teme che sveli casi ancora irrisolti. Omicidi, innanzitutto. Ma anche i legami che avrebbe stretto con l'imprenditoria per riciclare il denaro proveniente dalle attività criminali.
Dalla stretta riservatezza degli interrogatori alla videoconferenza. La novità è vicina: martedì della prossima settimana Montedoro sarà sentito in videoconferenza nel processo con rito abbreviato dell'operazione Diarchia in cui è imputato, fra le altre cose, come mandante del tentato omicidio di Spennato. E nelle carte di quell'inchiesta il boss emerge come mandante dell'omicidio di Potenza.
Su Montedoro pende, inoltre, la condanna a 30 anni di reclusione per tre omicidi: Fernando D'Aquino e Barbara Toma del 5 marzo del 1998, a Casarano. E del macellaio Rosario De Salve dell'11 marzo dello stesso anno, a Matino.
Il futuro, insomma, non gli avrebbe riservato grandi speranze di tornare libero. E potrebbe essere stata questa riflessione e fargli fare il passo di collaborare con la giustizia. Di diventare un pentito.
Gli effetti di questa collaborazione sono imprevedibili. Anche perché dalle carte dei processi sulla Sacra Corona Unita sono emersi legami di Montedoro con il clan Tornese di Monteroni (quattro gli omicidi rimasti irrisolti negli ultimi anni) e anche con le organizzazioni criminali mafiose di Merine e di Vernole. «Un nostro alleato», lo definì Alessandro Verardi dopo che anche lui scelse la strada della collaborazione.
La differenza la fa lo spessore di Montedoro: paragonabile a quella di Filippo Cerfeda, a capo del clan di Lecce, fino a quando si pentì nella primavera del 2003. L'ultimo capo clan diventato collaboratore di giustizia. E le sue ammissioni ebbero l'effetto di smembrare il clan con i blitz ed i processi delle operazioni Pit. Un effetto che - ed in molti temono - potrebbero avere anche le verità di Montedoro.
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