«Hanno vinto i caporali, ora nessuno denuncerà più»

Yvan Sagnet
Yvan Sagnet
di Maurizio TARANTINO
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Martedì 9 Aprile 2019, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 17:30

«Sono deluso. Provo una sensazione di forte ingiustizia». Yvan Sagnet, ingegnere ed ex bracciante di Boncuri, non nasconde l'amarezza per la sentenza d'appello che, nelle scorse ore, ha, in pratica, ribaltato il giudizio di primo grado sui cosiddetti caporali di Nardò, condannati a pene dai 7 agli 11 anni, con l'accusa di avere sfruttato i raccoglitori di angurie e pomodori e adesso assolti in larga parte dall'accusa più pesante, quella della riduzione in schiavitù dei lavoratori. Sagnet nel 2011 divenne il portavoce dello sciopero che durò un mese e che portò all'introduzione del reato di caporalato.
Sagnet, cosa significa questa sentenza?
«È una ingiustizia, hanno vinto i caporali. È innegabile, come attestato dal processo di primo grado che ci sia stata una privazione della libertà, una riduzione in schiavitù da parte dei caporali. Lo dice chiaramente l'articolo 600 del Codice penale ed è chiaro che non è ci si riferisce a quanto accadeva 400 anni fa dove gli sfruttatori usavano le catene. A Nardò i soprusi riguardavano soggetti vulnerabili, senza permesso di soggiorno, persone che subivano degli inganni, sfruttate continuamente, a cui venivano sottratti i documenti per impedire loro di muoversi. C'era la paura di denunciare gli aguzzini, perché altrimenti sarebbero stati denunciati a loro volta per clandestinità».
Con l'assoluzione cadono anche i risarcimenti stabiliti in primo grado.
«Queste persone escono indenni, pulite, senza un graffio. Era un sistema criminale ben avviato nel Salento, ma nessuno ha mosso un dito. Abbiamo fatto qualcosa di storico contro la loro prepotenza, perché nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciare prima. E in tanti hanno messo la loro vita a rischio, senza contare le minacce. E le conseguenze saranno gravi, se i giudici dovessero confermare le tesi dell'Appello».
Cosa teme che potrà accadere?
«In Italia, ci sono circa 400mila braccianti notevolmente sfruttati: nessuno avrà più il coraggio di denunciare. Non c'è stata giustizia, molti di questi lavoratori che vivono ancora in riduzione in schiavitù in varie parti d'Italia non si ribelleranno agli sfruttatori. È questo il messaggio che arriva da questa sentenza. Eppure grazie all'inchiesta di Nardò, il tema del caporalato è diventato di grande importanza in questo paese. Continueremo ad andare avanti: andremo in Cassazione appena arriveranno le motivazioni. Quando ho iniziato queste battaglie, ho trovato una parte piccola di società civile che già si occupava di questi temi. Abbiamo messo in campo una strategia che ha portato ad una legge. Gli studenti e l'opinione pubblica hanno iniziato ad informarsi, ad avere un interesse per un fenomeno sommerso. È chiaro che il lavoro non è finito. Teniamo alta l'attenzione sullo sfruttamento soggetti deboli».
Cosa pensa del lavoro del nuovo Governo su questi temi?
«Non si può pensare di risolvere lo sfruttamento con le ruspe. Il ministro dell'Interno pensa che sgomberando le tendopoli di Rosarno o a Foggia si scriva la parola fine. In realtà è solo un modo per rimandare il problema e non agire sulle cause. Questo tipo di approccio è solo propagandistico: c'è un problema di illegalità imprenditoriale diffusa: ma la sentenza di oggi va in un'altra direzione, è un'altra forma di impunità. Non sono i migranti i responsabili, ma coloro che li sfruttano. La legge sul caporalato va attuata soprattutto nella seconda parte, dove si parla di rete del lavoro agricolo di qualità. Nella parte repressiva, ci sono state varie inchieste ma non basta. Serve più prevenzione, controlli da parte degli ispettori, nei centri degli impieghi».
Un fenomeno che è vivo anche nel Salento?
«Certo.

A Nardò il caporalato continua, e adesso sarà ancora più forte. Bisognerebbe avere il coraggio di fare controlli più serrati, sequestrare i furgoni, il sistema più usato per portare manodopera sui campi. Fino a quando non un'azione mirata, saremo sempre punto e a capo».

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