Giustizia e favori, la richiesta di Igeco: «Ora un faro sulla gestione delle tante interdittive»

Secondo il legale, la società vittima di «errori peritali» e consulenze “falsate”

Giudice arrestato, Igeco: «Ora un faro sulla gestione delle tante interdittive»
​Giudice arrestato, Igeco: «Ora un faro sulla gestione delle tante interdittive»
di Roberta GRASSI
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Sabato 3 Giugno 2023, 21:44 - Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 08:31

«Verifiche anche sulle interdittive che hanno riguardato la Igeco». Le chiede l’avvocato Alessandro Diddi, difensore della Igeco costruzioni Spa, azienda più volte oggetto di procedimenti giudiziari. E le chiede non a caso, ma in riferimento ai dettagli dell’operazione che lunedì scorso ha portato ai domiciliari cinque persone: il giudice della sezione Fallimentare Pietro Errede, il compagno e avvocato Alberto Russi, i commercialisti e consulenti Massimo Bellantone, Emanuele Liaci e Marcello Paglialunga.

Nell’inchiesta si parla di giustizia utilizzata per fini privati.

Di provvedimenti in qualche modo o segmento pilotati e consulenze date ad hoc per ottenere in cambio benefici e regali. Di interdittive antimafia, disposte dalla prefettura, finite in Tribunale perché ammesse al sistema del controllo giudiziario.

Le indagini

Dalle indagini della procura di Potenza è emerso che alcune di esse, quelle il cui giudice delegato era Pietro Errede, sarebbero state in parte vessate da maxi consulenze e costi sproporzionati. Non è sfuggita poi ai magistrati lucani la contemporaneità di alcuni provvedimenti di aggravamento o di attenuazione con altro genere di affari. Nel caso di Phg Barone di Mare, il desiderio del magistrato: un Rolex Daytona. Tornando al legale della Igeco, il professionista specifica nel dettaglio le ragioni dal punto di vista della sua assistita.

«La società - afferma - ha più volte adito le opportune sedi, talvolta anche con scarso successo, per lamentare l’illegittimità e l’infondatezza dei provvedimenti che l’hanno travolta, la paradossalità e l’erroneità delle valutazioni che l’hanno riguardata. Se le interdittive hanno trovato fondamento, per un certo periodo, in una giurisprudenza amministrativa che ha legittimato l’esercizio discrezionale e arbitrario del potere da parte dell’autorità prefettizia, le misure di prevenzione sono state negate alla società sulla base di un lungo iter giudiziario che ha visto, infine, l’affermazione del diritto all’ottenimento del controllo giudiziario sin dal primo momento, ma riconosciuto a 3 anni di distanza».

Precisa ancora che: «Le contestazioni mosse nell’interdittiva di Igeco, lungi dall’essere sfociate in un procedimento penale per mafia, erano poi relative a stralci di intercettazioni e provvedimenti cautelari che interessavano altri soggetti, che sono stati poi prosciolti in primo grado, con sentenza passata in giudicato. Né può sostenersi il sospetto a carico della società per aggiudicazioni di gare vinte in prima battuta da altre imprese, rispetto alle quali Igeco ha poi avuto la meglio con il contenzioso amministrativo instaurato a seguito della censura delle illegittimità con cui era stato favorito il concorrente, oppure perché il primo classificato non era riuscito a giustificare l’offerta anomala».

C’è un ulteriore elemento a parere del legale: «Ormai chiarito dalla Suprema Corte è, poi, l’aberrante affermazione che l’attività di Igeco dal 2008 al 2018 sia rappresentata dai contratti con i Comuni di Cellino San Marco e Parabita, che sono risultati pesare solo il 4,11% del volume d’affari prodotto. Nemmeno può sostenersi che i soli 6 dipendenti sospettati di essere vicini ad ambienti malavitosi abbiano espresso il loro potere infiltrante solo nel periodo in cui hanno lavorato per Igeco: non nelle imprese da cui venivano e nemmeno in quelle in cui sono andati poi a lavorare». Insomma, secondo Diddi: «È giusto accendere un faro su come vengono “gestite” le interdittive: profili professionali dei commissari nominati, sostituzioni negli appalti dell’impresa interdetta da parte di concorrenti sprovvisti anche dei requisiti amministrativi richiesti dal bando, che soddisfano le previsioni capitolari con i beni forniti dall’appaltatore sostituito, in alcuni casi anche con la polizza in cui continua ad essere obbligato il precedente appaltatore. Il tutto in violazione del codice degli appalti, ma con l’approvazione del giudice amministrativo adito su questi profili». Per Igeco, dice Diddi, «pesa come un macigno la valutazione a 0 di quasi tutto il compendio aziendale da parte di un professionista sprovvisto del curriculum necessario per la valutazione che gli si richiedeva (oggi che si pone il tema delle nomine)».

E ancora: «Gli errori peritali, censurati con l’ausilio di elaborati di periti di parte di Igeco, sono stati fatti emergere anche attraverso intercettazioni ambientali, che confermano la valutazione falsata degli asset aziendali. Sullo sfondo, emergono interessi sulle società miste di Igeco, oggetto anch’esse di interdittive antimafia, che hanno di fatto estromesso e sostituito l’originario management dalla gestione, aprendo poi a trattative sottobanco, e, verosimilmente, l’interesse per la riallocazione delle quote di mercato che esprimeva la società in tutti i campi in cui operava». Infine, è chiarito: «La società, attraverso i suoi legali amministrativisti, civilisti e penalisti ha adito tutte le giurisdizioni per censurare provvedimenti, sentenze e valutazioni di cui è stata oggetto, ma ritiene utile, confidando nella magistratura, che sia acceso un faro sulla vicenda Igeco anche da parte di tribunali lontani dalla sede in cui si sono svolti i fatti».

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