Truffa milionaria con i codici fiscali dei morti, la decisione del giudice: revocati gli arresti domiciliari al segretario generale di Federaziende

Truffa milionaria con i codici fiscali dei morti, la decisione del giudice: revocati gli arresti domiciliari al segretario generale di Federaziende
di Andrea TAFURO
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Martedì 25 Maggio 2021, 21:14 - Ultimo aggiornamento: 26 Maggio, 07:14

Revocata la misura cautelare dei domiciliari ad Eleno Mazzotta, segretario generale di Federaziende, coinvolto lo scorso 20 maggio nell’operazione della Guardia di Finanza “New Job” che vede indagate 43 persone fisiche e 17 persone giuridiche. Secondo gli inquirenti avrebbero messo in piedi una truffa da 16 milioni di euro commessa sfruttando il modello di versamento di imposte e contributi F24. 

Il provvedimento del giudice


Il provvedimento al quale Mazzotta era stato sottoposto è stato annullato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, Anna Calabi, rilevato che «l’indagato ha offerto, nei limiti dell’incombente a cui si è sottoposto, una ricostruzione della vicenda che impone una rivalutazione delle esigenze cautelari in relazione al rischio di reiterazione dei reati, rischio che alla luce delle dichiarazioni rese e della dichiarazione prodotta non appare attuale e concreto». Revoca dei domiciliari che il Gip ha deciso anche in seguito alla disponibilità di Mazzotta a rendere interrogatorio davanti al Pm, «scelta che mostra la volontà di collaborare – si legge nell’ordinanza - in una ricostruzione più approfondita della vicenda, nonché la volontà di illustrare i rapporti con gli altri indagati, le competenze del Cean e le modalità di esecuzione degli incombenti e dei controlli che quale legale rappresentante era tenuto a svolgere».

L'inchiesta

Nelle indagini, oltre al 45enne salentino fondatore nel 2015 dell'ente bilaterale Cean, sono finiti anche due imprenditori lombardi.

Il meccanismo della truffa, definito dagli stessi investigatori innovativo, avrebbe funzionato così: alcune società non operative - secondo gli inquirenti create ad hoc dai tre, attraverso complici e prestanome, poco prima di mettere in atto la truffa - chiedevano all'Agenzia delle Entrate, tramite F24, versamenti a ignari fondi pensione e enti bilaterali con sede su tutto il territorio nazionale. Nessun esborso di denaro, ma una compensazione crediti di natura tributaria e previdenziale, che si sarebbero poi rivelate inesistenti: fra queste, il credito per famiglie numerose, il cosiddetto bonus Renzi. A questo punto, sempre secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, le stesse società chiedevano il rimborso delle somme - circa 16 milioni di euro, il presunto provento della frode - agli stessi fondi pensione ed enti bilaterali, sostenendo di aver commesso degli errori nella domanda di accredito in loro favore. Infine, per ottenere il visto di conformità sui modelli F24 necessario all'utilizzo dei crediti di compensazione, secondo quanto emerso dalle indagini, il sodalizio avrebbe usato codici fiscali di ignari professionisti, alcuni dei quali erano anche deceduti.

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