La mamma di Ele e il papà di Daniele, mano nella mano nel processo all'assassino dei figli: un solo dolore per la felicità perduta

La mamma di Ele e il papà di Daniele, mano nella mano nel processo all'assassino dei figli: un solo dolore per la felicità perduta
di Erasmo MARINAZZO
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Venerdì 19 Febbraio 2021, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 12:20

Il buio nella morte scavato negli occhi della madre di Eleonora e del padre di Daniele. Mano nella mano, ieri mattina seduti uno accanto all'altro nelle ultime file dei posti a sedere dell'aula bunker della Corte d'Appello di Lecce. Occhi pieni di lacrime, singhiozzi e nessuna parola in attesa dell'inizio del processo sull'omicidio dei loro ragazzi. Lacrime vere, non quelle delle trasmissioni televisive a gettone. Lacrime di chi ha vissuto e continua a vivere nel dolore della perdita di un figlio.


La vita che pulsa nei processi oltre ogni montagna di fascicoli e le questioni tecnico-giuridiche. Come l'imputato ed i suoi familiari che piangono dopo una sentenza di assoluzione, ma con la differenza che il pianto non è di gioia e non cesserà perché nessuna sentenza potrà alleggerire gli animi di quei genitori dalla privazione della vita dei loro figli.
Una solidarietà che non ha avuto bisogno di aggiungere altro, quella fra Rosanna Carpentieri e Fernando De Santis, perché cementata nella consapevolezza di avere ricevuto il torto più grande che può segnare la vita di un genitore: la perdita di un figlio. Un fatto innaturale, il mondo al rovescio.
Rosanna Carpentieri e Fernando De Santis hanno pianto una perdita incolmabile. Una perdita ancora più inaccettabile e devastante perché priva di qualsiasi spiegazione. Di un movente. La condotta specchiata di Daniele De Santis ed Eleonora Manta è stato uno dei principali problemi dei primi passi dell'inchiesta: come individuare l'assassino se non si trova il movente? E lo ha detto e lo ha ribadito nelle sue confessioni l'imputato Antonio De Marco: ha pianificato l'omicidio che gli sarebbe stato più facile attuare perché aveva conservato le chiavi dell'appartamento. Non aveva nulla contro quella giovane coppia che per due volte gli aveva affittato una stanza della loro casa di via Montello dove si erano trasferiti definitivamente proprio quella sera del 21 settembre quando le loro vite furono squarciate dalla furia omicida di un giovane che avrebbe voluto continuare ad uccidere ancora per sfogare le frustrazioni di non essere amato e di non avere una ragazza.
Nessun movente. E nemmeno nessun fatalità. La disperazione di quei genitori è tutta nell'impossibilità di accettare che i loro ragazzi si siano trovati in casa un serial killer armato di coltello, con il volto coperto da una calzamaglia con segnati i contorni della bocca e degli occhi e con sulle spalle una zaino con l'occorrente per immobilizzarli, torturarli e farli a pezzi. Di accettare che i loro figli siano incappati nel primo serial killer della storia giudiziaria salentina.
Due ragazzi splendidi, Daniele ed Eleonora. Lui 33 anni, arbitro del campionato di serie C di calcio in procinto di essere promosso. Circondato da amici, da affetti, dalla voglia di vivere. Eleonora 30 anni, laurea in Giurisprudenza, abilitazione alla professione di avvocato, scuola di specializzazione per le professioni legali, partecipazione al concorso di magistratura ed infine funzionaria Inps a Brindisi. «Oggi inizia un percorso lungo, sicuramente doloroso. Vi è voglia di giustizia, vi è voglia di chiudere al più presto questa parentesi e concentrarsi solo sul ricordo più bello di Daniele e Eleonora. Quanto è surreale tutto, quanto è ingiusto. Oggi non dovremmo essere qui, dovremmo vivere la nostra vita di sempre, eppure è la triste realtà che non accetteremo mai», le parole di Riccardo Panarese, uno dei quattro arbitri presenti ieri in aula e per strada ad urlare la sua disperazione la sera della fine dei suoi amici.
Non accetteremo mai. Le parole sancita da quel mano nella mano del padre di Daniele e della madre di Eleonora.
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